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Bahrain: crimini e oppressioni che il mondo non deve sapere

di Salvo Ardizzone

Il Bahrain è un piccolo arcipelago nel Golfo Persico, dinanzi alle coste saudite; un pugno di isolette che sarebbero prive d’importanza se non galleggiassero su un mare di petrolio (si calcola oltre 124 milioni di barili). Il fiume di denaro che ne viene potrebbe assicurare il benessere ai suoi abitanti (sono circa 1,3 ml, di cui 300mila stranieri), se non fosse che quelle ricchezze sono considerate cosa propria dalla famiglia regnante Al-Khalifa.

Da tempo la popolazione si ribella alla gestione dispotica e corrotta d’un pugno di famiglie che sfruttano senza ritegno alcuno le ricchezze immense del Paese; secondo quanto detto da Nabeel Rajab, Presidente del centro per i diritti umani del Bahrain, negli ultimi 3 anni almeno il 7% della popolazione è stata arrestata, il più delle volte arbitrariamente; al momento sono detenute circa 4mila persone, quasi tutte per aver protestato pacificamente o aver espresso opinioni contrarie al regime.

Come denuncia Human Rights Watch, la pratica degli arresti arbitrari continua impunemente, come pure la sistematica tortura degli oppositori; secondo il sistema giudiziario, totalmente controllato dalla famiglia regnante, si tratta di terroristi che minacciano la sicurezza nazionale: di tutele, per chi si trova in stato di detenzione, neppure a parlarne.

Tuttavia, malgrado la durissima repressione di ogni dissenso, le proteste anti governative proseguono nel silenzio dei media internazionali; è ancora Nabeel Rajab a spiegare la cortina che circonda i fatti: giornalisti e fotografi, anche se stranieri, hanno vita sempre più difficile sull’isola, insieme agli attivisti dei diritti umani vengono arrestati sempre più di frequente e viene impedita loro ogni attività. Ma malgrado questa difficoltà oggettiva, il silenzio ha anche altre motivazioni: Manama è la base della V^ Flotta Usa nell’area vitale del Golfo e dell’Oceano Indiano; è ovvio che qualche “voce” interessata abbia “mitigato” le attenzioni dei media tanto solerti a rilevare le violazioni dei diritti umani nel vicino Qatar (che, come si sa, è la pecora nera del Consiglio di Cooperazione del Golfo, con le sue posizioni avverse all’Arabia Saudita).

E non è finita: il Bahrain ha stretti rapporti economici e militari con Londra, che ha tutto l’interesse a che l’attuale casa regnante resti al suo posto senza scosse; senza di lei salterebbero lucrosi quanto pingui contratti di forniture petrolifere e di sistemi d’arma. Di qui il sostanziale silenzio sulla sanguinosa repressione dei carri armati del Peninsula Shield Force, inviati dai Paesi del Golfo a Manama per soffocare le proteste a cannonate.

Molti commentatori interessati dicono che l’applicazione di una democrazia vera in Bahrain rafforzerebbe Teheran, perché la maggioranza della popolazione (quella più oppressa e meno coinvolta nel benessere) è sciita; per Rajab è un argomento strumentale: la protesta è autenticamente politica, non ha basi religiose, essa mira a instaurare un sistema democratico rispettoso dei diritti umani. La verità è che Manama sta divenendo una colonia saudita; la casa regnante, pur di mantenere potere e privilegi scandalosi, si è assoggettata in tutto a Riyadh pur di averne l’appoggio.

In breve, nel Bahrain un piccolo popolo lotta duramente per conquistare i propri diritti, negati da un sistema corrotto ed oppressivo, lontano dall’attenzione di media “interessati”: uno scenario visto troppe volte. 

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