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Alture del Golan tra pulizia etnica e occupazione

Il riconoscimento del presidente americano Trump sull’annessione da parte di Israele delle alture del Golan è stato ampiamente celebrato dagli israeliani. Ma quegli stessi israeliani sanno delle centinaia di migliaia di persone espulse dal territorio durante la guerra del 1967? La grande maggioranza degli israeliani non sembra ancora al corrente del fatto che oltre 130mila abitanti delle alture del Golan furono espulsi dai loro villaggi e città durante la guerra del 1967. In effetti, negli ultimi decenni, il territorio è diventato un tema di “consenso” tra la maggior parte degli israeliani, con molti che non vedevano alcun motivo per restituirlo, quasi che nella coscienza israeliana le alture del Golan fossero percepite come vuote. In realtà, questo territorio era popolato come la Cisgiordania quando fu conquistato nel 1948.

Come nel caso dei rifugiati palestinesi, per decenni la linea ufficiale israeliana è stata che gli abitanti del Golan siano semplicemente fuggiti di propria iniziativa. Ancora oggi nella loro hasbara italiana nelle pagine di storia propinateci alla data 1967 si legge: Giugno 1967: guerra dei sei giorni. Le forze israeliane conquistano le alture del Golan. I residenti arabi fuggono, restano gli abitanti di quattro villaggi drusi.

Secondo le stime della Siria, tuttavia, solo circa 50mila di loro fuggirono dai bombardamenti israeliani e se ne andarono a fianco dell’esercito siriano in ritirata. I soldati israeliani hanno ammesso nelle interviste che molti residenti sono rimasti indietro e hanno aspettato di tornare nei loro villaggi, mentre altri hanno tentato di riattraversare le linee dell’armistizio.

Crimini israeliani nelle alture del Golan

Le Forze di Difesa Israeliane (Idf) avrebbero usato gli stessi metodi usati contro i palestinesi nel 1948 per impedire il ritorno di nuovi rifugiati nelle loro case – radendo al suolo interi villaggi, cacciando i residenti e sparando agli “infiltrati”. Israele stava effettivamente pulendo etnicamente il Golan. Molti dei rifugiati rimasero sul lato siriano del confine, nelle aree di Damasco e Dara’a, vulnerabili all’impatto mortale della guerra. Secondo il Centro arabo per i diritti umani di Al-Marsad l’attuale numero di rifugiati e dei loro discendenti sulle alture del Golan è stimato in 500mila persone.

Solo un gruppo è stato autorizzato a rimanere: 6-7mila drusi siriani, che vivono per lo più in quattro villaggi nel Golan settentrionale, molti dei quali hanno parenti in Siria a cui non è permesso tornare nei loro villaggi. Le autorità israeliane presumevano che, dopo la guerra del 1967, i Golan Druze sarebbero diventati fedeli cittadini israeliani, facendo eco alla decisione presa dalla leadership drusa in Israele nel 1948. In pratica, i drusi del Golan hanno resistito al controllo israeliano per oltre 50 anni. Oggi ci sono 22mila drusi nel Golan, ma 1.700 hanno accettato la cittadinanza israeliana, e gli abitanti continuano a protestare contro l’occupazione della loro terra, con molti detenuti in carcere per le loro attività politiche.

Nel frattempo, il regime israeliano ha lavorato duro nella costruzione di insediamenti attraverso il territorio di recente occupazione. Oggi la popolazione ebraica del Golan è composta da circa 22mila coloni che vivono in 32 insediamenti (diversamente da quelli in Cisgiordania, gli israeliani non si riferiscono tipicamente alle località ebraiche nelle alture del Golan come insediamenti). Ciascuno di questi insediamenti è stato costruito sulla terra di ex città e villaggi siriani, di cui ci sono ancora rovine visibili.

Israele demolisce l’identità dei popoli

Oggi Israele mantiene ancora regole restrittive sulla residenza, mentre continua a demolire le case e confiscare la terra dai drusi del Golan. Le autorità israeliane hanno anche revocato la residenza di circa cento drusi e si sono rifiutati di liberare l’area delle mine antiuomo – reliquie della guerra del 1967, che ripetutamente rivendicano vite umane – garantendo nel contempo la separazione delle famiglie su entrambi i lati del confine.

I rifugiati siriani del 1967 non sono scomparsi. Gli storici che hanno scritto i libri di storia non hanno verificato i fatti. Al contrario, accettarono la versione dettata dallo Stato, copiandosi l’un l’altro in modo che, con il passare degli anni, la bugia diventasse la verità. Fino all’età di Internet, gli abitanti del villaggio druso Madjdal Shams erano soliti sostare su Shouting Hill, dove avrebbero urlato attraverso gli altoparlanti ai loro familiari sul lato siriano del confine. Le famiglie divise, i parenti, i vicini e gli amici si chiedevano come stavano, aggiornandosi a vicenda con le notizie su chi era nato e chi era morto. Quella linea di cessate il fuoco, stabilita 53 anni fa, è diventata un confine permanente che ancora li separa.

di Cristina Amoroso

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