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Lager di Fenestrelle, una ferita mai rimarginata

Fenestrelle – Il 13 febbraio 1861 cade il Regno delle due Sicilie e finisce il regno borbonico del Sud. Francesco II accetta di firmare la capitolazione e di abbandonare il regno. Il 14, il re e la regina salgono sul piroscafo francese Mouette e lasciano Gaeta diretti a Terracina, nello Stato Pontificio. Il 15, la brigata “Bergamo” prende in consegna la fortezza di Gaeta e la bandiera tricolore viene issata sulla Torre d’Orlando in sostituzione dello stemma borbonico.

Finisce il Regno Borbonico e con l’Unificazione dell’Italia ha inizio la colonizzazione del Sud, uno straordinario capolavoro geopolitico: l’acquisizione di una specie di colonia da parte della Francia e soprattutto dell’Inghilterra grazie ad una guerra combattuta e pagata dall’Italia, che si è pure impegnata – grazie ai suoi capi politici – a garantire vantaggi futuri al conquistatore.

Se alla guarnigione borbonica della Fortezza di Gaeta quando lascia la piazzaforte al cessate il fuoco delle 18,15 viene offerto l’onore delle armi, ben altro trattamento viene riservato ai soldati napoletani e pontifici all’indomani della campagna per l’Unità, una tessera completamente rimossa dalla memoria e dagli archivi che svela il vero volto del Risorgimento. Come gestire i numerosi soldati delle Due Sicilie che si arrendevano ed erano presi prigionieri? Considerata la riottosità dei prigionieri all’arruolamento nell’esercito piemontese e il timore che, se lasciati liberi, avrebbero ingrossato le fila  delle bande di briganti, prevalse la scelta di Fenestrelle, una fortezza sulle Alpi, una sorta di Spielberg piemontese, dove in pratica i prigionieri furono sterminati  dagli stenti e dal freddo.

Uguale trattamento fu riservato a migliaia di civili etichettati come briganti.  Il medico Lombroso non esitò a scorticare cadaveri, mozzare e sezionare teste, effettuare i più incredibili e crudeli interventi su uomini ritenuti criminali. Un museo degli orrori e del razzismo a Torino intitolato a Cesare Lombroso che individuava il delinquente perfetto nel meridionale.

In cambio il nostro Paese concesse l’onore di dedicare gli angoli più belli delle nostra città a quei feroci grassatori vestiti da liberatori che non hanno esitato a massacrare e decapitare quanti si paravano innanzi a loro. Strade intitolate a Bixio che sparò a bruciapelo ai superstiti di una fucilazione, o a Cialdini, che strangolò con le sue mani inermi contadini o al Col. Negri, che rase al suolo un intero paese, per non parlare delle migliaia di strade intitolate a mercenari massoni come Vittorio Garibaldi, Raffaele Cadorna, Camillo Benso conte Cavour, Giuseppe Mazzini.

In ricordo dell’eroe Passannante

Ben fece anni fa quel gruppetto di neoborbonici che con una “azione di iniziativa popolare” cosparse di pece nel Basento le targhe stradali intitolate agli artefici delle peggiori efferatezze contro la gente del Sud. Onore a chi volle rendere onore a Passannante, giovane lucano che il 17 novembre 1878, durante la visita ufficiale del re Umberto I a Napoli, per compiere un gesto dimostrativo, lo ferì lievemente al braccio sinistro con un coltellino. Fu arrestato, processato e condannato a morte. Graziato dal re, la sua pena fu commutata in carcere a vita. Relegato per dieci anni nel carcere di massima sicurezza di Portoferraio, fu poi sottoposto a perizia psichiatrica e trasferito presso il manicomio criminale di Montelupo fiorentino dove morì nel 1910. La morte non mise fine alle sue sofferenze in quanto il cranio e il cervello furono sottoposti ad analisi scientifiche e nel 1936 furono esposti al museo criminologico di Roma. Nel 2007 si riuscì ad autorizzare la sepoltura a Salvia, che dal 1879 era diventata Savoia di Lucania.

La gente si riunì a Salvia contro la decisione degli amministratori del comune, che  fecero giungere i resti del povero Giovanni Passannante in forte anticipo su quanto annunciato, provvedendo a farli tumulare, di notte ed alla chetichella, nell’ossario comune. “Anche a questo figlio disgraziato e coraggioso di un Sud allo sfacelo è toccata la fossa comune. Dopo lo scempio del corpo dato ai cani ed ai porci, a distanza di decine e decine di anni vengono ancora negate le esequie cristiane ad un nostro fratello, confermando quei principi aberranti di una delle più feroci e crudeli dittature imposta alla nostra Gente. Non può proclamarsi democratico né, tanto meno, cristiano un amministratore che teme la memoria di un uomo come Passannante negandone ogni celebrazione e dignitosa sepoltura”.

E’ doveroso ricordare questa azione perché il gesto del giovane Lucano non fu un tentato regicidio di uno sprovveduto “anarchico repubblicano”, come afferma la storiografia ufficiale massonica e giacobina pontifica, ma la reazione legittima di un figlio della nostra Terra alla devastazione economica, sociale e politica messa in atto da casa Savoia. La reazione sacrosanta contro l’usurpatore, contro coloro che portarono nelle contrade di un ricco Sud solo fame, miseria e distruzione, una sistematica rapina di tutte le ricchezze di un Popolo laborioso e pacifico. 

Onoriamo Giovanni Passannante nel giorno in cui si ricorda la fine del Regno Borbonico e disgraziato quel comune e chi è ancora prostrato sotto l’infausto nome dei Savoia. Vergognoso l’atteggiamento di chi dalla memoria storica di una vera tragedia sociale ed umana, intende trarne squallidi vantaggi. La dignità di un popolo non ha prezzo e l’apparente sterile gesto del giovane lucano è servito a tramandare a tutti noi, figli di una Patria avvilita, un messaggio profondo di giustizia, di fede e di speranza. Lo stesso messaggio lasciatoci dagli Eroi di Gaeta, Civitella e Messina; lo stesso di quelle migliaia di poveri disgraziati che tra i monti e le valli della nostra amata Terra diedero la vita nella disperata difesa della nostra antica cultura.

Onore ai nostri eroi dimenticati che, come Passannante, attendono giustizia dalla storia e, soprattutto, da tutti i Meridionali.

di Cristina Amoroso

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