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Usa: Trump alza il tiro contro la Cina

Se il capitalismo rosso si espande a macchia d’olio, gli Stati Uniti corrono ai ripari. Come? Si dice “nuove misure commerciali” contro la Cina, si legge “frenare il peso di Pechino nelle questioni geopolitiche”.

E’ di pochi giorni fa la notizia che l’amministrazione Trump starebbe vagliando misure restrittive contro l’economia cinese ed azioni contro pratiche commerciali ritenute scorrette da parte della Cina.

L’intenzione degli Usa è quella di proteggere la proprietà intellettuale delle proprie industrie e di eludere l’obbligo delle società americane di condividere le proprie tecnologie avanzate, requisito imposto da Pechino per entrare nel mercato cinese.

Negli ultimi anni il malcontento delle aziende americane verso la Cina è cresciuto notevolmente e le organizzazioni industriali hanno cominciato a fare pressioni sul Governo americano affinché intervenisse.

Le tensioni si sono accentuate per via della costante crescita economica della Cina sul fronte tecnologico e dei software: molte società statunitensi temono, infatti, che Pechino possa varare leggi per limitare, se non addirittura impedire, gli investimenti stranieri in aree quali auto a conduzione autonoma, tecnologie avanzate e intelligenza artificiale, e diventare unico leader globale del settore.

Al fine di riuscire nell’impresa pare che Trump abbia deciso di rispolverare leggi del regolamento commerciale statunitense raramente applicate.

Nello specifico, alla Casa Bianca si sta discutendo della possibilità di ricorrere all’articolo 301 del Trattato di Legge (Trade Act) del 1974, che consentirebbe al Presidente di imporre sanzioni agli esportatori cinesi e di indagare su eventuali pratiche sleali dei partners commerciali internazionali.

L’articolo 301 è stato utilizzato per lo più intorno agli anni ’80, per frenare le importazioni di motori ed acciaio dal Giappone, per poi essere accantonato, nel 1995, in seguito all’istituzione dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (Wto), che fa riferimento ad un proprio regolamento per la risoluzione delle controversie commerciali.

Sin dall’inizio del suo mandato, il Presidente Trump non ha mai nascosto il suo scetticismo nei confronti dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Non stupirebbe affatto se la Casa Bianca decidesse di procedere con l’applicazione di sanzioni alla Cina in modo unilaterale, senza sottoporre la questione all’attenzione del Wto.

La penetrazione in Africa e il peso geopolitico di Pechino

Se fino ad ora la Cina ha fatto per lo più da spettatore nello scacchiere geopolitico globale, senza soffermarsi troppo sugli equilibri strategici lontani dai propri confini, oggi le cose stanno decisamente cambiando.

La potente presenza economica e la capacità che Pechino ha avuto, negli ultimi 10 anni, di radicarsi in Africa è raccontata dai numeri: 1046 i progetti portati a termine, 2233 km di ferrovie, costruzione di dighe ed un numero indefinito di autostrade.

Dalla totale conquista economica al controllo militare del territorio il passo è stato piuttosto breve. Lo scorso 1 Agosto la Cina ha inaugurato la sua prima base militare fuori dai propri confini, in Gibuti, piccolo paese dell’Africa orientale ma con una notevole importanza strategica.

Secondo dichiarazioni iniziali dello stesso governo cinese, la base avrebbe dovuto fungere da supporto logistico alle operazioni di peace keeping e per azioni anti pirateria ma il progetto si è rivelato ben presto una base militare a tutti gli effetti per il controllo del territorio.

Oggi, la Cina fa paura più di ieri. Anche agli Stati Uniti.

di M.I

 

 

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