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Una frana sta investendo l’economia saudita

di Salvo Ardizzone

Che la Monarchia saudita abbia gravi problemi economici è fatto ormai arcinoto, l’ultimo dei segnali è stato il recente annuncio che entro settembre chiederà 15 Miliardi di dollari ai mercati internazionali per far fronte ad un urgente bisogno di liquidità; è la prima volta in assoluto che lo fa.

Pareva impossibile, ma un Regno che fino al 2011 aveva surplus di bilancio del 20% e ancora a metà del 2014 vantava riserve di oltre 700 Mld, nel 2015 ha avuto un deficit di bilancio del 16% e le riserve, precipitate in un anno sotto i 600 Mld, si stanno squagliando a un ritmo crescente (12-15 Mld al mese), mettendo a serio rischio la valanga di denaro con cui compra da sempre il tacito consenso dei suoi sudditi.

Anche il motivo di questa crisi è arcinoto: pompando petrolio a più non posso, incuranti delle loro quote Opec, i sauditi hanno provocato un repentino crollo dei prezzi per buttare fuori mercato i produttori di shale oil americani oltre che danneggiare Iran e Russia; poteva funzionare, ma, con i tassi della Fed a zero, le banche hanno continuato a finanziare i trivellatori che si sono organizzati, tagliando i costi e razionalizzando il comparto, così che solo pochi, i più piccoli, sono falliti. In questo modo si è determinata una situazione di stallo, con prezzi bassi che stanno continuando a indebolire Riyadh, ma questo è il meno.

Il pericolo vero che si sta delineando per l’Arabia è un altro: la speculazione internazionale, dinanzi alle difficoltà saudite, ha messo nel mirino il cambio fisso fra dollaro e riyal che è alla base dell’economia del petrodollaro, vale a dire dell’intera economia di tutto il Golfo.

In base ad un accordo sin qui ferreo, da quarant’anni le major Usa acquistano il greggio di Riyadh esclusivamente in dollari a un cambio stabile (dal 1986 a 0,26 dollari per un riyal); i sauditi reinvestono quei fiumi di denaro in Buoni del Tesoro statunitensi (i Tresauries) facendoli rientrare nelle tasche dello Zio Sam: un affare enorme per entrambi, circondato fin’ora dal massimo segreto.

Ma i tempi cambiano e, incrinatisi i rapporti fra le parti (la lista dei motivi è sempre più lunga: dal crescente disimpegno Usa dal Medio Oriente alla produzione massiccia di shale oil, dall’accordo sul nucleare iraniano alle differenti posizioni sulle crisi siriane ed irachene e così via), il Tesoro Usa ha comunicato che sono almeno 120 i Mld investiti direttamente in Tresauries ed almeno altri 100 parcheggiati in fondi offshore per conto della famiglia reale.

Si tratta di somme imponenti che, unite alle riserve di valuta estera della Banca Centrale saudita, sarebbero in grado di sostenere l’attacco della speculazione per mesi, ma solo in teoria. Gli squali della finanza sanno bene che disporre di cifre colossali non basta.

Per difendere il cambio fisso, i sauditi dovrebbero vendere Tresauries in dollari e comprare riyal, drenando quantità enormi di liquidità da un’economia che di suo non è affatto sviluppata, causandone l’asfissia (per chiarire, le riserve di valuta estera sono di gran lunga maggiori di tutta la liquidità esistete nel Regno; togliendo dalla circolazione i riyal la gente non saprebbe come fare). Sta già accadendo alle prime avvisaglie dell’attacco, con una base monetaria per la prima volta al di sotto dei 400 Mld di dollari; il lancio del prestito internazionale in riyal da 15 Mld non è un caso. Quando la bufera scoppierà, e sta già montando, Ryadh sarà costretta ad abbandonare sia cambio fisso che economia dei “petrodollari” per non crollare.

Sui mercati si scommette già che il debito del Regno salirà del 50% in tre anni ed assai prima si spezzerà l’accordo sul cambio fisso, le speculazioni in questo senso stanno già fioccando. Quando accadrà (le stime si indirizzano a fra un anno) il riyal sarà svalutato drasticamente, il prezzo del petrolio scenderà ancora e i petrostati del Golfo andranno a rotoli insieme alle loro economie già traballanti.

Essere sbranati dai pescecani della finanza internazionale sarà una degna sorte per regnanti che proprio sul denaro hanno fondato il proprio potere corrotto.

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