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Trident Juncture 2015, la Nato testa le sue forze operative per futuri conflitti

di Irene Masala

Da qualche giorno si parla della Trident Juncture 2015, la più grande esercitazione della Nato degli ultimi vent’anni (secondo alcuni dalla fine della Guerra Fredda). Lunedì 19 ottobre si è svolta la cerimonia di apertura della fase Livex della Trident Juncture 2015 e l’onere di ospitarla è toccato allo scalo militare del 37° Stormo dell’Aeronautica militare di Trapani ed ha impegnato 700 militari, di cui 200 circa stranieri, 4 elicotteri, un velivolo teleguidato Predator, un cargo C-130 e un C-27J, un Eurofighter, 7 Tornado, 4 AMX e un tanker KC-767A.

I numeri di questa guerra simulata, che coinvolgerà dal 3 ottobre al 6 novembre anche le unità dell’Esercito delle brigate Folgore e Sassari, il Reggimento Lagunari, l’aeroporto militare di Trapani in Sicilia, la base di Capo Teulada e Decimomannu in Sardegna, sono considerevoli e perciò è bene ricordarli: 36mila militari, di cui circa 4mila  italiani, 230 tra unità terresti, aeree e navali, 28 paesi coinvolti, 60 navi e 200 aerei da guerra. Saranno presenti anche 7 paesi partner e osservatori, tra cui Brasile, Messico, Colombia e anche la Russia, diverse Ong, ma sopratutto i rappresentanti delle industrie militari di 15 paesi con l’intento di capire e sopperire le eventuali carenze belliche delle forze della Nato.

L’obiettivo dichiarato e ufficiale, o almeno quello che è dato sapere trattandosi sempre di operazioni coperte dal segreto militare, è quello di testare le capacità di risposta immediata dell’Nrf, la Nato Response Force, che consiste nello schieramento nel giro di 48 ore di 5mila soldati lungo il confine Est Sud dell’Alleanza. Ma non è l’unico. La Trident, in particolare nella sua fase operativa Livex, simulerà un potenziale conflitto negli Stati immaginari di Kamon, Lakuta e Tytan, che dovrebbero essere collocati geograficamente in un’area compresa tra il Corno d’Africa e il Sudan.

Secondo altre fonti della stampa specializzata, si tratterebbe di un ipotetico conflitto nell’inesistente “East Cerasia”, dove la parola East assume un significato strategico se si considera il conflitto che sta infiammando proprio il confine Est dell’Europa, sempre ufficialmente coincidente con il Corno d’Africa, in cui l’integrità territoriale di un piccolo Stato sovrano viene violata da un altro Stato sovrano – che sta peraltro minacciando di invadere un altro piccolo Stato confinante. Il conflitto simulato risulterà inoltre caratterizzato da una forte connotazione etnico-religiosa e dalla presenza di insurgentes interni, di gruppi terroristici e da un’intestina lotta per le materie prime della regione che sposta il conflitto da un livello regionale a quello globale. Tra queste righe si può tranquillamente leggere la parola Medio Oriente. Infine verrà messa alla prova la Nato International Support Assistance Mission che avrà come obiettivo quello di sorvegliare e proteggere i Paesi offesi nell’ipotetico conflitto e la libertà di navigazione nelle acque limitrofe.

Il richiamo alle situazioni di crisi attuali è quantomeno evidente, sopratutto quando uno dei generali della Nato, Philip Breedlove rilascia simili dichiarazioni: “Vogliamo mandare un segnale chiaro a qualsiasi potenziale aggressore. Ogni tentativo di violare la sovranità di una nazione membro della Nato avrà come conseguenza un coinvolgimento deciso da parte di tutte le altre nazioni dell’Alleanza”.

Niente di nuovo all’orizzonte, certo, dato che questo è uno dei principi fondanti dell’intera Alleanza fin dalla sua nascita nel 1949, ma ribadire un concetto chiaro alla vigilia di una simulazione di guerra di questa portata non poteva che far storcere il naso alla Russia, che non tarda a rispondere con una nota ufficiale del ministro degli Esteri: “Alla luce delle ripetute speculazioni sulla necessità per la Nato e in particolare degli Stati Uniti di dispiegare forze aggiuntive sul suo fianco orientale – riferendosi ai piani estoni di espandere la base aerea Nato di Amari – noi giudichiamo questi preparativi come apertamente provocatori e mirati a destabilizzare la situazione”.

Tutto questo nel completo disinteresse dei cittadini che vivono nelle zone limitrofe ai teatri delle esercitazioni e delle continue proteste dell’opinione pubblica in tutta Italia. Da Napoli alla Sicilia passando per la Sardegna ci sono state e ci saranno nei prossimi giorni sit-in e manifestazioni. In Sardegna alcuni gruppi parlamentari hanno richiesto l’intervento al Senato del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, alla quale si contesta l’approvazione del II semestre di esercitazioni per “imprescindibili attività militari”, nonostante lo stesso piano sia stato bocciato il 9 luglio dal Comipa (Comitato misto Paritetico per le servitù militari).

Giorni fa ha avuto luogo anche l’incontro internazionale del comitato No Guerra No Nato, per un’Italia e un’Europa neutrali e indipendenti di cui riportiamo parte del comunicato: “Per uscire da questa spirale di guerra, i partecipanti al Convegno chiamano a un’alleanza fra tutte le forze democratiche, di pace, per la sovranità dei popoli, contro le guerre volute da un’infima minoranza di cinici profittatori. Si impegnano a tal fine a costituire un Coordinamento europeo perché i paesi attualmente appartenenti alla Nato riacquistino la loro sovranità e indipendenza, requisito fondamentale per creare una nuova Europa che contribuisca a relazioni internazionali improntate alla pace, al rispetto reciproco, alla giustizia economica e sociale. Si impegnano allo stesso tempo a collaborare con qualsiasi movimento democratico nel mondo persegua scopi analoghi”.

Il fronte dei pacifisti cerca nuovi strumenti di pressione, mentre sull’Europa tirano più che mai venti di guerra.

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