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Trattativa Stato-Mafia: sentenza storica, ma restano ombre

La trattativa Stato-Mafia si arricchisce di una nuova pagina; il 20 Aprile 2018 è arrivata la sentenza della Corte di Assise di Palermo che dopo cinque anni di processo si pronunzia su una delle pagine più oscure dell’Italia. I giudici di Palermo accolgono la ricostruzione effettuata dalla Procura sulla stagione 1992-1993 contrassegnata dalle stragi di Palermo a dagli attentati compiuti a Roma, Milano e Firenze.

Ad essere condannati sono uomini che facevano parte delle istituzioni come l’ex generale Mario Mori del Ros e Antonio Subranni entrambi a 12 anni, stessi anni all’ideologo di Forza Italia ed ex senatore Marcello Dell’Utri, otto anni sono stati inflitti all’ex colonnello Giuseppe De Donno e 28 anni al boss Leoluca Bagarella. Assolto invece l’ex ministro Antonio Mancino perché il fatto non sussiste. Massimo Ciancimino precedentemente condannato ad otto anni per calunnia nei confronti dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro è stato assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, prescrizione per Giovanni Brusca.

C’è da sottolineare che si tratta di una sentenza di primo grado e che quindi si è all’inizio di un valzer, ma è innegabile come sia stata effettuata una svolta decisiva e questo avviene dopo cinque anni di processo e cinque giorni di camera di consiglio; il processo aveva una precisa missione ed era quella di indagare sulla stagione delle stragi che hanno insanguinato l’Italia nel periodo che va dal 1992 al 1993. Il reato contestato è quello di concorso in minaccia a corpo politico dello Stato, una minaccia avvenuta a suon di bombe e di morti innocenti ad opera della mafia che intendeva alzare la posta in gioco; la condanna attribuisce la responsabilità agli ufficiali del Ros per il periodo 1992; a Dell’Utri, per il “periodo del governo Berlusconi: ovvero il periodo 1993-1994.

Stando alle ricostruzioni dei pubblici ministeri Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi, in quei mesi uomini dello stato avrebbero intavolato una trattativa con i vertici di Cosa Nostra la cui finalità era quella di bloccare il ricatto delle bombe; l’accusa muove da qui per arrivare alla conclusione che gli ufficiali dei carabinieri avrebbero finito per essere degli ambasciatori dei boss. Questo il cuore della sentenza in attesa delle motivazioni della sentenza che arriveranno tra 90 giorni.

Ad esultare è Antonio Mancino per molto tempo nell’occhio del ciclone per delle dichiarazioni poco chiare sul presunto incontro con Paolo Borsellino: “Sono stato volutamente additato ad emblema di una trattativa, benchè il mio capo di imputazione, che oggi è caduto, fosse di falsa testimonianza”, questo è quanto dichiarato dall’ex ministro degli Interni.

Di differente tenore è la dichiarazione di Antonino Di Matteo secondo cui adesso si ha la certezza che la trattativa ci fu. La Corte ha avuto la certezza e la consapevolezza che mentre in Italia esplodevano le bombe nel ’92 e nel ’93, qualche esponente dello Stato trattava con Cosa Nostra e trasmetteva la minaccia della Mafia ai governi in carica. E questo è un accertamento importantissimo, che credo renda un grosso contributo di chiarezza del contesto in cui sono avvenute le stragi. Contesto criminale e purtroppo istituzionale e politico. Ci sono spunti per proseguire le indagini su quella stagione.

Se prima della sentenza vi era una correlazione tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi imprenditore, adesso si assiste ad un ribaltamento dello scenario dove il Berlusconi è messo in correlazione con le minacce subite da Dell’Ultri ed a quanto risulta non vi sono denunce del governo Berlusconi inerenti alle minacce subite, i rapporti tra Cosa Nostra e Berlusconi vanno oltre il 1992. Secondo l’accusa, nel 1992, “i carabinieri del Ros avevano avviato una prima trattativa con l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, che avrebbe consegnato un papello con le richieste di Totò Riina per fermare le stragi”. Circostanza negata dai carabinieri imputati ma accertata invece dalla procura.

Secondo l’accusa, dopo l’arresto di Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993, i boss avrebbero avviato una seconda Trattativa Stato-Mafia, con altri referenti, Bernardo Provenzano e Marcello Dell’Utri. Mentre le bombe mafiose esplodevano a Roma, Milano e Firenze, un altro ricatto di Cosa Nostra per provare a ottenere benefici. “Dell’Utri ha fatto da motore, da cinghia di trasmissione del messaggio mafioso”, hanno accusato i Pubblici ministeri. Il messaggio intimidatorio fu trasmesso da Dell’Utri e recapitato a Berlusconi.

Tanti misteri sono lontani da una reale soluzione: cosa sapeva di così compromettente Paolo Borsellino da costargli la vita 58 giorni dopo Falcone? Perché parlava di un presunto tradimento e chi sarebbe stato il traditore? Il nome di Berlusconi appare limitatamente al suo rapporto con Dell’Utri senza che avesse un ruolo in tutto ciò? Dell’Utri agiva per conto proprio? E se si, a che pro? Molte domande rimangono inevase e chissà se avranno mai una risposta. Rimane innegabile un fatto, in una nazione che si barcamena nella ricerca di un governo, una notizia del genere avrebbe un impatto devastante sulla politica e sul nome di Silvio Berlusconi, ma ciò difficilmente accadrà perché l’Italia è una nazione abituata a convivere con gli impresentabili e con le sue ombre.

di Sebastiano Lo Monaco

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