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Svolta storica a Washington, Obama apre a Cuba

di Salvo Ardizzone

Ieri, Barak Obama, con un annuncio completamente inaspettato, ha rinnegato 53 anni di politica estera americana e non solo, liquidando il tipo di relazioni con Cuba come “approccio ormai vecchio e inappropriato”: in breve, ha dichiarato d’aver dato mandato al Segretario di Stato Kerry di procedere rapidamente alla normalizzazione dei rapporti con l’Avana, spezzati nel 1961; non solo, ma che chiederà al Congresso la fine dell’embargo che dura da allora. Già nei prossimi mesi potrebbe essere aperta un’ambasciata americana nell’isola e dovrebbero essere abolite o comunque attenuate numerose restrizioni su viaggi, commercio, transazioni valutarie, internet ed altro ancora e, cosa assai significativa, sarà avviata la cancellazione di Cuba dalla black list degli Stati sponsor del terrorismo. È un cambiamento storico e una implicita ammissione d’errore che, nell’immediato, avrà enormi ripercussioni in tutto il Sud America e non solo.

Nello stesso momento, dall’Avana, anche il presidente Raul Castro dava l’annuncio della svolta con parole impensabili fino a poco prima.

Come riconosciuto da Obama nella sua dichiarazione, e confermato da una nota della Segreteria di Stato vaticana, un ruolo di primo piano l’avrebbe svolto Papa Francesco, postosi come mediatore e garante delle trattative iniziate lo scorso anno.

Quale gesto per inaugurare il nuovo corso dei rapporti, Cuba ha liberato un contractor americano, Alan Gross, da cinque anni in carcere con l’accusa di spionaggio, e gli Usa hanno rilasciato tre agenti cubani, detenuti dopo un processo controverso.

La decisione del Presidente americano ha immediatamente scatenato le ire di gran parte dell’opposizione repubblicana che ora, dopo le elezioni di novembre, ha il controllo di Congresso e Senato. Dietro di essa, sono evidenti le inviperite reazioni delle lobby che hanno determinato e pilotato le politiche Usa in Sud America e non solo.

Malgrado si prospetti un braccio di ferro pesantissimo (è di pochi giorni fa il faticoso accordo raggiunto con l’opposizione sul bilancio federale fino al settembre del 2015), con questa svolta Obama ha rifiutato d’essere un’anatra zoppa per i prossimi due anni di permanenza alla Casa Bianca, dichiarando guerra ai gruppi di potere tradizionali dell’establishment, che hanno da sempre determinato la politica di Washington e che gli sono stati ferocemente avversari.

Questo evento, la cui portata analizzeremo a breve in un approfondimento, è un ennesimo segnale di crisi del sistema di potere che ha spadroneggiato nel mondo intero, dettando la politica Usa e caratterizzandone la spinta imperialista.

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