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Sud Sudan, a un passo dalla guerra civile

di Cinzia Palmacci

Sono trascorsi quasi cinque anni da quel 9 luglio 2011 che ha segnato la nascita della 193^ nazione africana: il Sud Sudan. Un’indipendenza voluta dal popolo e suggellata da oltre il 98% di voti referendari favorevoli al distacco dal governo di Khartoum. Ma come sta oggi il Paese? E’ sofferente. La crisi scoppiata nel 2013, e apparentemente placatasi con gli accordi per un governo di unità nazionale, di recente siglati tra l’attuale presidente Salva Kiir e l’opposizione guidata da Riek Machar, non ha mai veramente smesso di stringere la popolazione nella morsa dell’insicurezza e delle assurde violenze.

L’ultimo episodio di cui è giunta notizia risale ad un attacco avvenuto domenica a Wau, nel nord-ovest del Paese. Alcuni testimoni oculari, intenti a cercare rifugio nel compound delle Nazioni Unite, hanno raccontato di un attacco efferato, con uccisione di bambini, donne violentate per le strade e sparatorie sui civili, atti perpetrati dai soldati del Spla e da giovani di etnia Dinka che hanno attaccato le aree intorno a Wau abitate dai Fartit. Secondo le Nazioni Unite, sarebbero più di 70mila gli sfollati e decine le vittime di uno dei più feroci attacchi di tutto il 2016. E se da un lato la fiducia del popolo nei confronti del trattato di pace e del governo, per ovvie ragioni, vacilla, dall’altro sale più chiaro che mai il grido di dolore delle madri cui sono stati strappati i figli.

Almeno 272 persone sono state uccise nei combattimenti, come riferisce una fonte del ministero della Sanità alla Reuters. Un peacekeeper delle Nazioni Unite cinese è stato ucciso e diversi caschi blu cinesi e ruandesi sono rimasti feriti, ha riferito l’ambasciatore delle Nazioni Unite del Giappone Koro Bessho, dopo che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato informato sulla situazione. Il Giappone è presidente del Consiglio da luglio. La missione delle Nazioni Unite ha riferito che i compound delle Nazioni Unite a Juba erano stati colpiti da armi di piccolo calibro e dal fuoco di armi pesanti. “Il Consiglio di sicurezza ha espresso la propria disponibilità a prendere in considerazione il miglioramento dell’Unmiss, affinchè si possano prevenire le violenze nel Sudan meridionale”, ha dichiarato Bessho ai giornalisti. Inoltre ha dichiarato che 15 membri del Consiglio hanno incoraggiato i Paesi della regione a preparare l’invio di truppe supplementari nel caso in cui il Consiglio di sicurezza decida di aumentare le forze di quasi 13.500 unità.

Il Consiglio ha inoltre sottolineato la necessità di forze di pace da utilizzare con tutti i mezzi necessari per proteggere i civili. Domenica il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha chiesto la fine immediata dei combattimenti in Sud Sudan e ha ordinato la partenza del personale non addetto all’emergenza dall’ambasciata degli Stati Uniti a Juba. “Siamo estremamente preoccupati per quella che sembra essere una mancanza di comando e di controllo delle truppe”, ha dichiarato l’ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite Samantha Power sulla sua strada verso il briefing del Consiglio di sicurezza.

Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha dichiarato che i leaders Kiir e Machar hanno bisogno di prendere “azioni decisive” per riprendere il controllo della situazione della sicurezza a Juba e li ha esortati a ordinare le loro forze per disimpegnarsi e ritirarsi nelle loro basi. “Sono profondamente frustrato che nonostante gli impegni da parte dei leaders del Sud Sudan, siano ripresi gli scontri”, ha affermato Ban in un comunicato. “Questa violenza senza senso è inaccettabile ed ha il potenziale di invertire i progressi finora compiuti nel processo di pace”. “Abbiamo chiesto un embargo sulle armi, pensiamo che questa violenza sottolinei questa necessità e siamo pronti ad esaminare le misure necessarie per fermare questa violenza”, ha dichiarato il vice ambasciatore delle Nazioni Unite della Gran Bretagna, Peter Wilson durante la riunione del consiglio.

 

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