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Storico incontro a Cuba fra Papa Francesco e il Patriarca Kirill

di Salvo Ardizzone

L’incontro di ieri a L’Avana fra il Patriarca ortodosso Kirill e Papa Francesco non è un fatto semplicemente religioso, tutt’altro; è un evento geopolitico di prima grandezza che nell’attuale momento storico sancisce una decisa scelta di campo.

Quell’incontro, tenacemente costruito nel tempo, obbedisce alla strategia seguita da Francesco fin dal suo insediamento, quando, nel 2013, si schierò apertamente e con tutto il suo peso accanto alle posizioni di Mosca e contro l’intervento che l’Occidente e il Golfo stavano per far scattare in Siria.

Dal momento della sua elezione, ha ribaltato la tradizionale posizione eurocentrica ed atlantista del papato, per imporre l’attenzione sulle periferie; nella sua logica, l’Occidente, ormai ampiamente scristianizzato e portatore di valori incompatibili con la sua visione, non può essere rappresentativo della “sua” Chiesa.

Per Francesco, le antiche ossessioni antirusse ed “anticomuniste” di Wojtyla sono del tutto anacronistiche dinanzi a quelli che identifica come i nemici del mondo: la venerazione del dio denaro, lo sfruttamento, le guerre, le diseguaglianze, come ha continuato a ripetere ad un establishment occidentale sempre più spiazzato e perplesso (memorabile il suo discorso dinanzi al Congresso statunitense).

Per lui la Russia è portatrice di valori assai più vicini di quanto non lo siano quelli che permeano la società Usa, e la Chiesa ortodossa, che ne è l’architrave spirituale, non può essere trascurata, anzi, è una potenziale preziosa alleata.

Per lui, non c’è alcuna guerra di religione fra Cristianesimo e Islam, ma l’aggressione che alcuni antichi quanto potenti centri di potere stanno portando a vasta parte del mondo, suscitando guerre e terrorismo, per mantenere ricchezze e privilegi.

Per lui, è nelle periferie del mondo, piagate dallo sfruttamento del capitalismo più selvaggio, dalla corruzione e dalla violenza, che vanno ritrovate le radici della “sua” Chiesa.

In questa logica, sovvertendo la tradizionale politica vaticana, si è adoperato a favore di Cuba perché si riallacciassero le relazioni fra Washington e L’Avana; malgrado le fortissime pressioni, ha rifiutato ogni condanna a Mosca per l’Ucraina; ha avuto grande attenzione verso l’Iran, mostrando di comprenderne le ragioni; ha pazientemente lanciato ponti verso la Cina, che a breve dovrebbero dare frutti.

Tonando a l’incontro di L’Avana, un evento storico dopo uno scisma che dura da un millennio, sono state gettate le basi non tanto per una riunione delle due Chiese (se ci sarà, occorrerà molto tempo), quanto per un’assonanza di obiettivi che travalicano di molto il fatto meramente religioso. E che ci sia questo alla base, è testimoniato che Putin si sia speso molto perché quell’incontro ci fosse, e lo stesso Raul Castro sia stato più che felice di ricambiare l’attenzione avuta da Bergoglio nella trattativa con gli Usa, facendosi ospite dell’evento.

Un evento non a caso fatto cadere a uno snodo cruciale della Storia, quando ciò che sembrava cristallizzato ed immutabile sta crollando e un nuovo mondo emerge finalmente dalle macerie di uno scontro sanguinoso che è in atto. In questo cambiamento epocale, Francesco fa una scelta di campo, rinunciando alle tradizionali posizioni vaticane. È un fatto.

Certo, è pur sempre un Pontefice, e la Chiesa di cui è a capo è ancora lontanissima dall’assomigliargli, ma lo schierarsi apertamente su posizioni antitetiche a quella tradizione, e l’enfasi posta sulle Chiese delle periferie a cui viene dato sempre più spazio, alla lunga (e se gliene verrà dato il tempo) riposizioneranno gli equilibri.

Per adesso resta un gesto forte, di grande valore politico.

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