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Si aprono i giochi in Libia, Al-Serraj chiede l’intervento dell’Occidente

di Salvo Ardizzone

La richiesta del premier libico Al-Serraj per ottenere la protezione internazionale sul petrolio e sulle piattaforme di estrazione in mare, anche se menzionava il pericolo dell’Isis, in realtà aveva tutt’altro obiettivo, assai più concreto delle scalcinate milizie del “califfo” evocate solo per convenienza: proteggere i campi dalle mire del generale Haftar e dell’Egitto, dietro cui sono schierati Arabia Saudita, Emirati e la Francia, che al momento fa un gioco ambiguo a tutto vantaggio dei propri interessi e della Total.

La telefonata con cui Serraj ha chiesto copertura a Renzi, proprio prima che il Premier italiano volasse al G5 di Hannover, tendeva a questo: tramite l’Italia, a cui ufficialmente è stata affidata la gestione del problema libico, portare il problema dinanzi alle Potenze che manovrano per spartirsi la Libia, denunciando il tentativo di far saltare i patti già stretti.

Fede ne fa che la richiesta d’aiuto è partita il giorno dopo l’arrivo a Tobruk di una massiccia fornitura di armi, munizioni e mezzi per le milizie di Haftar, in aperta violazione all’embargo internazionale. Si tratta di 400 blindati leggeri Panthera T6, prodotti dall’egiziana Eagles Defence International Systems su licenza della società emiratina Minerva Special Purpose Vehicle; a questi si aggiungono 650 pickup Toyota, i protagonisti di tutte le guerre asimmetriche in aree desertiche.

Haftar, che nei fatti controlla Tobruk e tiene in ostaggio il suo parlamento da operetta, è l’uomo su cui Al-Sisi punta per avere il controllo della Cirenaica e delle sue risorse, e dietro lui, a parte lo storico appoggio di Riyadh ed Emirati, adesso c’è pure la Francia, che se ufficialmente appoggia Serraj, nei fatti ha stretto un’alleanza di ferro col regime egiziano, cementata dai mega accordi commerciali e militari pagati dal Golfo.

A parole quei rifornimenti dovrebbero servire ad Haftar per completare l’occupazione di Bengasi e impadronirsi di Derna e poi di Sirte, ma oltre questi obiettivi ciò a cui mirano realmente i suoi sponsor è a mettere le mani sui campi petroliferi della Cirenaica attualmente controllati dalla milizia di Ibrahim Jadran, che ha dato il suo sostegno a Serraj.

Di qui l’appello del Premier libico per parare una mossa che sancirebbe di fatto la spartizione del Paese; di qui l’accelerazione al dossier gettato sul tavolo del G5, che vede gli Usa e l’Inghilterra tutt’altro che propensi a lasciare campo libero a Parigi. Washington non apprezza l’attivismo francese e il tentativo di rafforzare il suo ruolo politico ed economico ad Est del Mediterraneo, di cui il recente viaggio di Hollande a Beirut, Amman e il Cairo è un esempio, approfittando del crescente smarcamento americano; né l’Amministrazione Usa si è scordata i tanti ostacoli che Parigi, su mandato saudita, ha messo sulla strada dell’accordo sul nucleare iraniano. Allo stesso modo, Londra vede con sospetto i maneggi francesi (e della Total) e li considera in contrasto con i propri interessi.

Ormai è una corsa contro il tempo: Serraj non può formalizzare la sua richiesta di aiuto all’Onu perché non è ancora entrato nel pieno delle sue funzioni; il parlamento di Tobruk continua a rinviare il suo riconoscimento malgrado 102 parlamentari abbiano sottoscritto una mozione in suo favore. Il nodo sta nel fatto che la città è sotto il controllo di Haftar, che secondo l’accordo dovrebbe farsi da parte insieme alle aspirazioni dei suoi sponsor.

Il gioco è talmente scoperto che lo stesso inviato dell’Onu minaccia sanzioni su tutti i personaggi che continuano ad opporsi ostacolando l’intesa; nel frattempo, il generale e chi gli sta dietro, con l’aiuto delle Special Forces francesi e dei massicci rifornimenti che stanno arrivando, contano di cogliere quei successi che costringano la comunità internazionale a non prescindere da lui.

In ogni caso, per mettere in moto l’operazione della comunità internazionale che “brucerebbe” quelle manovre, serve il voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu; un passaggio scontato, visto che la direzione sarà conferita all’Italia e la Russia, che la considera una garanzia, non porrà veti. Ma servirà tempo, settimane, forse mesi, mentre sul campo si muovono le forze: Inglesi, Americani e soprattutto Francesi sono già sul posto, come pure Egiziani ed Emiratini; tutti pronti ad assicurarsi le fette migliori del Paese.

Resta da vedere come evolveranno le cose, e come l’Italia potrà gestire un dossier sempre più spinoso, più che mai adesso, con i rapporti con l’Egitto avvelenati. E detto per inciso, sono sempre maggiori i sospetti che ci sia questo dietro l’affaire Regeni: non è un caso che fonti riservate abbiano riferito che a Parigi ridessero delle tensioni in corso, che sgombrerebbero il campo, e il più grande giacimento di gas del Mediterraneo, da un concorrente.

Sia come sia, ormai si è alla vigilia di un’operazione militare incerta quanto pericolosa, in cui Roma sarà usata come paravento per lo scontro degli interessi altrui. Le indiscrezioni di stampa in merito a un contingente italiano da schierare, malgrado le smentite di rito, mettono in piazza alcuni dei progetti che giocoforza sono già stati fatti. Applicarli e come sarà tutt’altra storia.

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