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Rioccupazione militare e business dietro gli strike farsa anti-Isil

di Salvo Ardizzone

L’abbiamo detto dall’inizio che la campagna aerea contro l’Isil è stata ed è una farsa, da recitare sotto i riflettori dei media e da buttare in pasto a un’opinione pubblica pronta a digerire qualsiasi panzana appaia sul video. Oggi, passati più di cinque mesi dall’inizio, è possibile tracciare un bilancio che dimostra questa tesi.

Intanto le missioni: complessivamente sono 11mila, a prima vista una cifra ragguardevole che viene sbandierata dai vari portavoce della coalizione ma, a guardar bene, sono solo 1.700 le missioni d’attacco: 10/12 al giorno in tutto il teatro siriano e iracheno, anche nei momenti più critici sul campo; il resto sono voli di ricognizione (la massima parte), rifornimento, collegamento, etc., un appoggio né massiccio, né tanto meno risolutivo, malgrado l’imponente armata aerea concentrata.

I dati sulle missioni svolte dicono anche altre cose: la maggior parte dei membri della coalizione hanno solo mostrato le coccarde degli aerei nei cieli di Siria e Iraq, malgrado il considerevole schieramento di mezzi, vedi Inghilterra, Canada e sin’ora Francia. Per quest’ultima, però, sembra in vista una svolta: dopo gli attacchi di Parigi e il subitaneo invio della portaerei nucleare Charles De Gaulle, con la componente aerea imbarcata al gran completo di rinforzo alle forze già presenti nell’area (15 fra Rafale e Mirage, oltre ad aerei radar e d’appoggio), pare cambierà radicalmente il profilo dell’Operazione Chammal e il suo reale impegno.

L’aviazione che ha effettuato più missioni è ovviamente quella Usa, che ha impiegato di tutto, quasi a usare la missione per testare i propri mezzi: B-1, F-15, F-16, i modernissimi F-22 mai impiegati prima, perfino i vecchi A-10 d’attacco, rispolverati per l’occasione, e poi gli F-18 della Marina, tutti col solito corredo d’aerei radar e aviocisterne. Ma la sorpresa è che l’aviazione che dopo quella Usa ha effettuato di gran lunga più missioni è quella degli Emirati coi suoi Mirage ed F-16, che se in Siria si sono limitati alla ricognizione, in Iraq hanno effettuato diversi attacchi.

Ma è dai raid che si legge chiaramente lo spirito dell’operazione: gli strike sono stati condotti soprattutto dov’erano presenti i media, non dov’erano più necessari da un punto di vista militare; così, per esempio, ce ne sono stati diversi a Kobane, che strategicamente conta meno di niente, e quasi nessuno nell’Al-Anbar o in altri luoghi che contano assai di più. Inoltre, sono stati proporzionalmente molti i raid condotti contro impianti e infrastrutture petrolifere in mano all’Isil, che dalla vendita del greggio ha il suo principale (e ragguardevole) finanziamento: in realtà, “affamare” il cosiddetto califfato svuotandogli la borsa, lo farebbe assai più docile agli ordini di chi l’ha sempre manovrato e può tornare a riempirgliela; obbediente in tutto e per tutto come una volta, prima che l’insperato successo (e i tanti soldi ricavati dal bottino) gli facessero pensare di poter avere anche “un’agenda” propria, di alzare troppo il prezzo dei suoi “servizi”.

Anche i risultati degli attacchi sono istruttivi: nel complesso sono ovviamente ridicoli raffrontati ai tanti velivoli concentrati ed alla durata delle operazioni, ma se si scende nel dettaglio c’è un ulteriore messaggio. In Siria, malgrado gli strike siano stati assai di meno, sarebbero (il condizionale è d’obbligo) stati distrutti 30 carri, 20 blindati, un centinaio di Humvee (i gipponi blindati) e una quarantina fra mortai e cannoni. In Iraq, invece, dov’è il fulcro dell’intervento e si sono svolti la maggioranza degli attacchi, si parla di 25 carri, 13 blindati, 90 Humvee e una ventina fra mortai e cannoni (in tanti mesi praticamente un’inezia). Questa differenza nell’efficacia a prima vista può sembrare strana, ma lo è molto meno se si riflette: in Iraq gli Usa intendono rimanerci e devono trovare una motivazione; se indebolissero realmente l’Isil, quella motivazione verrebbe meno.

A dimostrazione di questa tesi basti pensare che sono stati inviati 1.500 uomini (tra “consiglieri” e soldati), che s’aggiungono ai 2mila già inviati, con la motivazione di dover addestrare nove brigate irachene e tre curde. Il Generale James Terry, comandante della Combined Joint Task Force dell’Operazione, ha dichiarato che servirà un periodo “minimo” di 3 anni per completare il programma che, beninteso, rappresenta anche un considerevole affare per industrie, mercanti d’armi e agenzie per la sicurezza, visto che ognuna delle 12 brigate dovrebbe ricevere materiali per almeno 90 Ml (oltre a infinite altre spese), permettendo di svuotare a prezzo pieno diversi magazzini di materiale più o meno obsoleto. Ma questo è il meno, perché è prevista anche la fornitura, attraverso la formula Foreign Military Sale (Fms), di 1000 Humvee corazzati e di 190 carri Abrams, al prezzo super gonfiato di 579 ml per i primi e di 2,4 Mld per i secondi. Washington si fa così ripagare con gli interessi quanto ha finto di “donare” dinanzi ai media, nei mesi più bui della crisi.

Questo c’induce a un’ulteriore riflessione: i precedenti programmi di addestramento ed equipaggiamento dell’Esercito Iracheno sono stati semplicemente disastrosi, come dimostrato, dopo anni e anni d’attività e fiumi di denaro, dal letterale liquefarsi dei reparti al primo apparire delle bande di tagliagole dell’Isil. Sono serviti unicamente a giustificare un vorticoso giro di denaro, nell’ordine d’incalcolabili miliardi, tornato in massima parte nelle tasche delle società a Stelle e Strisce che hanno fornito materiali e servizi, e per il resto ha alimentato la stratosferica corruzione delle cricche di potere vicine al governo di Al-Maliki e alle alte sfere dell’Esercito.

I resoconti di questi cinque mesi, confermano che questa tragica farsa serve essenzialmente a giustificare la presenza e l’influenza Usa in Iraq, facendone anche un ulteriore occasione di business come in passato, il tutto con la copertura dei media, chiamati a testimoniare la “passerella” degli strike fasulli contro il califfato, a beneficio di un’opinione pubblica disposta a credere di tutto. E’il collaudato meccanismo di sempre.      

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