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Rapporto Censis. Il diritto della salute diventa funzione del reddito e della residenza

di Cristina Amoroso

“Senza progettazione per il futuro, la cultura collettiva è prigioniera della cronaca e del consenso d’opinione. Famiglie e imprese restano in un recinto securizzante, ma inerziale: un limbo italico fatto di mezze tinte. Nell’«Italia dello zero virgola», in cui le variazioni congiunturali degli indicatori economici sono ancora minime, continua a gonfiarsi la bolla del risparmio cautelativo e non si riaccende la propensione al rischio”. Questo lo scenario attuale che caratterizza l’Italia di oggi, come emerge dal 49/esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2015, presentato il 4 dicembre a Roma.

Un Paese dove dall’entrata in vigore del Jobs Act, il mercato del lavoro ha visto rimbalzare l’occupazione di 204mila unità, ma ancora molto lontano dal recuperare la situazione pre-crisi, dato che nel terzo trimestre dell’anno, rispetto allo stesso periodo del 2008, mancano all’appello 551mila posti di lavoro.

Se il quadro dell’occupazione non è confortante, la sanità lo è ancora di meno.

È il 42,7% dei cittadini italiani a pensare che la sanità sia peggiorata negli ultimi due anni, quota che sale al 64% al Sud. Inoltre, il 55,5% considera inadeguato il Servizio sanitario regionale, percentuale che tocca la vetta dell’82,8% nel Mezzogiorno.

Per evitare le liste d’attesa sempre più spesso si ricorre al privato. Costi e tempi hanno andamenti inversi nel passaggio dal pubblico al privato, poiché all’aumentare dei costi delle prestazioni nel privato corrisponde una diminuzione dei tempi d’attesa e viceversa. In troppi rinunciano alle cure per motivi economici: nel 41,7% delle famiglie almeno una persona, in un anno, ha dovuto rinunciare a una prestazione sanitaria.

“La capacità del privato di offrire prestazioni a prezzi sostenibili e la lunghezza delle liste di attesa nel pubblico, si risolve spesso nella scelta dei cittadini di pagare per intero di tasca propria le prestazioni”. Sono 7,7 milioni le persone che in un anno si sono indebitate o hanno chiesto un aiuto economico per pagare le cure.

Per una colonscopia nel privato si spendono 224 euro e si attendono otto giorni, nel pubblico con il ticket si spendono 56 euro e si attendono 87 giorni; per una risonanza magnetica nel privato si spendono 142 euro e si attendono cinque giorni, con il ticket si pagano 63 euro e si attendono 74 giorni.

Le difficoltà principali che i cittadini sperimentano nel rapportarsi al Servizio sanitario nazionale sono soprattutto legate ai tempi di attesa prima di poter accedere ai servizi. “Tra le persone che hanno effettuato visite specialistiche e accertamenti diagnostici, rispettivamente il 22,6% e il 19,4% ha dovuto attendere perché privo di alternative. E quando l’attesa c’è stata, è stata consistente: in media, 55,1 giorni prima di effettuare una visita specialistica e 46,1 giorni per un accertamento”.

La diminuzione del perimetro di tutela pubblica non solo crea notevole insoddisfazione tra i cittadini, ma lascia spazio ad un privato sostitutivo, per chi può permetterselo. Agli altri non tocca che aspettare o rinunciare.

La spesa sanitaria pubblica negli ultimi anni “ha registrato una inversione di tendenza, con una riduzione tra il 2010 e il 2014, attestandosi nell’ultimo anno a 110,3 miliardi. La spesa sanitaria privata delle famiglie, invece, dal 2007 al 2014 è passata da 29,6 a 32,7 miliardi, raggiungendo il 22,8% della spesa sanitaria totale”.

Quanto all’assistenza dei non autosufficienti, risulta molto carente. Sono oltre tre milioni i non autosufficienti in Italia (3.167mila, il 5,5% della popolazione). Esiste un modello tipicamente italiano di accudimento di lungo periodo che vede la famiglia al centro. Oggi però il modello scricchiola, mostrando crepe che rendono urgente la messa in campo di soluzioni alternative. Infatti, il 50,2% delle famiglie con una persona non autosufficiente (contro il 38,7% del totale delle famiglie) ha a disposizione risorse scarse o insufficienti. Sono comunque 4,7 milioni gli anziani che sarebbero disponibili ad accettare una soluzione residenziale, a patto che la qualità offerta sia migliore.

Uno scenario poco confortante quello della sanità, nel quale bisogna anche curare la corruzione: “Il 44% degli italiani ritiene che tangenti e abusi di potere siano diffusi all’interno del sistema sanitario: un dato decisamente superiore alla media europea (33%). Nel 2014 e nei primi sei mesi del 2015 la Guardia di Finanza ha accertato un danno per l’erario superiore a 5,7 miliardi di euro; di questi, i danni erariali in materia sanitaria assommano a 806 milioni di euro, pari al 14,1% del totale”.

Sta di fatto che la “White Economy” (la filiera delle attività sia pubbliche che private riconducibili alla cura e al benessere delle persone) produce oggi in Italia un valore economico pari a 290 miliardi e coinvolge 3,8 milioni di occupati, ossia produce più dei settori delle costruzioni e dei trasporti, vero volano di sviluppo, verso cui si tuffa il privato.

Nell’indifferenza del ministro della Salute e del Governo, strabico al punto da guardare ad ogni rivolo di Welfare, ma cieco davanti al mare della sanità, si sta consumando l’universalismo del Ssn, dove la crescita della spesa a carico dei cittadini convive con il gonfiarsi delle fasce di popolazione che non accedono alle cure.

Il diritto della salute da uno e indivisibile diventa funzione del reddito e della residenza.

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