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Omicidio Nemcov, un altro tentato colpo contro Putin

di Salvo Ardizzone

La notte del 27 febbraio, quattro colpi di una Makarov 9mm hanno ucciso a Mosca Boris Nemcov, e subito il mondo dei media è insorto, indicando Putin come mandante di un omicidio che è tutto fuorché chiaro, di un omicidio che puzza di montatura da lontano.

Intanto la vittima: Nemcov aveva un passato politico, d’accordo, ai tempi non rimpianti di Eltsin sarà pure stato una figura di primo piano, ma il tracollo disonorevole di “Corvo Bianco”, che aveva condotto la Russia al disastro svendendola agli oligarchi, aveva travolto anche lui.

Si era riciclato come oppositore a Putin fondando un piccolo partito, ma il suo seguito era limitato e soprattutto i giovani lo vedevano come un vecchio arnese, corresponsabile degli anni più bui della Russia recente; insomma, un uomo tutt’altro che pericoloso per Putin.

E qui si viene al punto: manca un vero movente per l’assassinio; affannarsi per trovare motivazioni, come nei primi giorni hanno fatto tanti media, dicendo che stava per produrre documenti che dimostravano il coinvolgimento della Russia in Ucraina (il segreto di Pulcinella) o che due giorni dopo ci sarebbe stata una dimostrazione contro la politica di Putin (organizzata dall’opposizione, d’accordo, ma lui era solo uno dei tanti) è stato un esercizio ridicolo.

Putin, piaccia o no, in Russia è al momento popolarissimo e, secondo un recentissimo sondaggio del Levada Center, solo il 15% fra la gente simpatizza per gli esponenti dell’opposizione, e lui era tutt’altro che il primo. No, quello di Nemcov ha tutta l’apparenza d’un cadavere buttato sotto le mura del Cremlino, da chi ha tutto l’interesse a realizzare secondi fini.

Le indagini, che hanno marciato in modo insolitamente rapido, hanno puntato sulla pista cecena, e già sono stati bloccati almeno sette uomini (compreso uno che, a Grozny, vistosi scoperto si sarebbe fatto saltare in aria); uno di loro avrebbe confessato d’essere l’omicida e l’organizzatore dell’attentato, pagando gli altri per fargli da complici, salvo poi ritrattare, dichiarando d’essere stato costretto a fornire quella confessione.

È un ex ufficiale decorato dallo stesso Putin, un appartenente ai pretoriani di Kadyrov, il satrapo che regge la Cecenia con mano di ferro in nome di Mosca e che ora, per questi fatti, si trova in difficoltà. Avrebbe agito perché Nemcov, dopo la strage di Charlie Hebdo, aveva manifestato sdegno per quella carneficina e per i presunti motivi religiosi.

Come scusa è francamente risibile, e anche gli altri possibili moventi circolati a caldo sulla stampa russa (questioni di soldi, di donne o legate alla ragazza che era con lui al momento dell’omicidio) sono inconsistenti. Resta il fatto che fino ad ora dei mandanti veri non si sa nulla, mentre stanno prendendo corpo voci insistenti che addebitano l’intrigo ad una faida fra i “siloviki” (gli elementi dell’ex Kgb cooptati da Putin ai vertici dell’establishment russo) e Kadyrov che, facendosi forte del suo ruolo essenziale nel tenere la Cecenia, sta mostrando una sempre maggiore indipendenza. Quel cadavere ingombrante potrebbe essergli addebitato per ridimensionarlo o peggio.

Putin, che ha mostrato subito la sua rabbia per l’evento, ha tutto l’interesse a chiudere una faccenda sfacciatamente strumentale, su cui i media internazionali si sono buttati a capofitto. La Russia in questo momento ha serie difficoltà, col rublo sotto l’attacco della speculazione internazionale (pilotata da Washington), il prezzo del greggio che stagna a quotazioni basse (grazie alle manovre di Riyadh), le masochistiche sanzioni a cui la Ue ha aderito (su mandato Usa) che bloccano affari e transazioni finanziarie; il suo Presidente ha tutt’altro a cui dover pensare. E se, passati i primi giorni e andata avanti l’inchiesta di cui si è arrogato il controllo, non è più tornato sull’argomento, non significa affatto che a freddo (e con la debita discrezione), non agisca pesantemente contro chi ha organizzato la provocazione.

In questo quadro complesso, il pensiero che da qualche parte sia in corso un’operazione per propiziare un cambio di regime a Mosca perché oligarchi e potenti vari possano tornare tranquillamente a fare affari come sempre, magari con l’appoggio “discreto” di qualche Cancelleria interessata, è tutt’altro che la trama di una spy story.

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