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Nuove misure della Bce per far ripartire l’economia nell’Eurozona

di Salvo Ardizzone

Da 26 mesi il rubinetto del credito nell’area euro si va chiudendo, lasciando famiglie e imprese a boccheggiare; a giugno era ancora un –1,7%, meno grave che nel passato, ma pur sempre un calo. Uno studio della Bce dice che nel 2° trimestre del 2014, le condizioni del credito, finalmente, mostrano un miglioramento, ma a ben guardare è come nella favola di Trilussa, con le imprese tedesche che, secondo l’Istituto Ifo, hanno un accesso ai finanziamenti testualmente “molto facile”, mentre nella periferia (leggi Europa mediterranea) avviene il contrario. E a smentire la favola che la ripresa possa avvenire anche senza credito, è lo stesso Fmi.
Per dare fiato all’economia, a giugno la Bce ha già tagliato i tassi e reso per la prima volta negativi i rendimenti del denaro che le banche “parcheggiano” presso la Banca Centrale, ma senza sortire effetto; adesso l’attenzione si concentra sulle Tltro, iniezioni di liquidità alle banche per complessivi mille miliardi di Euro a condizioni assai generose. Le prime due emissioni, di 200 Mld ciascuna, avverranno il 18 settembre e 11 dicembre; successivamente ci saranno altre sei operazioni; scadranno tutte nel settembre del 2018, ma se le banche non dovessero impiegare quei fondi nell’economia reale, dovranno restituirli prima, entro il 2016. L’idea è di evitare che anche questa valanga di denaro finisca in acquisti di titoli di Stato, come avvenuto nelle emissioni del 2011–2012 (beninteso, allora fu una via quasi obbligata, per battere la speculazione che stava per mandar per aria le economie di mezza Eurozona, Italia in testa).

Adesso, però, l’emergenza è quella di dare ossigeno a famiglie e imprese e ci si chiede quale impatto avranno queste Tltro, il cui avvio s’intreccia con la conclusione, a ottobre, degli “esami” a cui la Bce sta sottoponendo le banche.
Secondo diverse analisi, come quelle di Bank of America o Commezbank, l’utilizzo di quei fondi sarà solo parziale, da 400 a 500 Mld, non di più; di questi, solo una parte calerà fino alle Piccole e Medie Imprese (Pmi) e alle famiglie. Il fatto è che le banche son già piene di liquidità, perché il denaro è già da tempo a basso prezzo e nel mondo abbonda, ma stenta ad essere impiegato nell’economia reale, e questo per almeno tre ragioni: per prima cosa, gli istituti di credito son zeppi di sofferenze e incagli, e malgrado abbiano fatto tanto, sotto il pungolo della Bce, per rimettere in sesto i bilanci, non è che possano aprire tanto facilmente i cordoni della borsa, proprio per i requisiti patrimoniali imposti per evitare i disastri del passato. In secondo luogo, è più semplice, meno rischioso e pur sempre remunerativo (visto il bassissimo costo del denaro) acquistare titoli; infine perché, sotto i colpi di questa lunghissima crisi, i debiti sono cresciuti e sono sempre meno le aziende (e le famiglie) che hanno i requisiti patrimoniali per accedere al credito. Inoltre, l’eccesso di debiti spinge a risparmiare per levarseli di dosso, non certo ad investire; questo deprime ancora i consumi e con essi le motivazioni d’investimento e l’economia.

Se il credito crescerà, sarà quello erogato alle grandi imprese, quelle che “dovrebbero” essere più patrimonializzate, o quelle delle aree che di proprio hanno già imboccato la via per uscire dagli impicci, non certo quelle dell’area periferica della Ue (ancora Europa mediterranea); lì si dovrebbe avvertire una generica (e moderata) diminuzione dei tassi per chi il credito riesce ad averlo, dell’ordine di 0,30–0,80 punti percentuali in Spagna e di 0,20–0,40 in Italia: tutt’altro che la frustata necessaria.
Il fatto è che la Be ha solo strumenti monetari, e solo quelli può utilizzare, e per giunta con le mille limitazioni poste da una regolamentazione volutamente idiota. L’economia, soprattutto quella dell’Europa periferica, è schiacciata da una montagna di debiti che le impedisce di risollevarsi, di qui un’inflazione dello 0,4% registrata a giugno, chiaro avviso di recessione.

È il frutto di anni di politiche ottusamente restrittive, e l’abbiamo detto infinite volte, ma anche di Sistemi Paese che troppo spesso la ricchezza l’hanno distrutta, dissipandola in rendite di posizione, sprechi e inefficienze, incuranti di ciò che accadeva attorno.
Per il Sistema Italia sarà doppiamente dura, stretto com’è fra chi non vuol cambiare nulla, difendendo antichi privilegi (e in un modo o nell’altro son più di quanti ci si possa immaginare, perché i cambiamenti che si accettano son sempre quelli che toccano gli altri) e un quadro che complicato assai è già di suo. Avrebbe bisogno di idee chiare, obiettivi precisi e la capacità di chi sappia perseguirli con energia; peccato che, a parte un vuoto chiacchiericcio, non si veda nulla di tutto questo.

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