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Nave Diciotti: Matteo Salvini indagato

Il “teatrino” della Diciotti si conclude con lo sbarco al porto di Catania dei 137 migranti rimasti a bordo della nave della Guardia Costiera Italiana e con l’iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Agrigento del ministro dell’Interno, Matteo Salvini e del suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi. L’indagine, dunque non è più a carico di ignoti ed il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio e il sostituto Salvatore Vella, invieranno il fascicolo al tribunale dei ministri di Palermo. Le ipotesi di reato sono: sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio.

Diciotti-SalviniLa nave Diciotti che aveva soccorso i migranti il giorno di ferragosto è rimasta ormeggiata al porto di Catania per ben cinque giorni, nell’impossibilità di far scendere il suo carico di disperati perché dal Viminale era partito il solito braccio di ferro con l’Europa, con conseguente divieto di far sbarcare i migranti dalla nave.

Alla fine l’accordo con Vaticano, Albania e Irlanda, i quali si faranno carico dell’accoglienza presso le proprie strutture dei migranti sbarcati dalla Diciotti, ha permesso di porre fine ad un’odissea che è diventata un caso politico e giudiziario.

Dal palco di Pinzolo, in provincia di Trento, dove si è tenuta la festa della Lega, Salvini ha tenuto un comizio infuocato, tuonando proprio contro i magistrati, irridendoli quasi con i suoi soliti toni, tra il provocatorio ed il populista. “Essere indagato per difendere i diritti degli italiani è una vergogna”, ha affermato il ministro dell’Interno, il quale avrebbe detto ai suoi fedelissimi che ci metterebbe un attimo a portare tutti alle elezioni, diventare il presidente del Consiglio e “prendersi l’Italia”.

Un evidente delirio di onnipotenza, il quale oltre a destare lecite preoccupazioni sulla tenuta politica dell’attuale governo gialloverde, fa fortemente dubitare sull’idoneità al ruolo istituzionale attualmente ricoperto da Salvini. A sua difesa accorre il fedele ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, ormai costretto a fare da spalla all’irrefrenabile istrionismo del collega vicepremier. Di Maio afferma che il ministro dell’Interno deve rimanere al proprio posto, ma abbozza ammettendo che la magistratura va lasciata libera di svolgere il proprio lavoro.

Proprio queste affermazioni del ministro pentastellato, hanno offerto uno spunto più che ghiotto agli esponenti del Pd, i quali hanno fatto notare la “doppia morale” di Di Maio che, nel 2016 chiedeva a gran voce le dimissioni dell’allora ministro dell’Interno, Angelino Alfano, indagato per abuso d’ufficio, dichiarando come fosse inammissibile che le forze dell’ordine avessero il loro massimo vertice indagato.

Si apre dunque una fase difficile e cruciale per il futuro dell’esecutivo e l’ago della bilancia sarà proprio il M5S che del giustizialismo intransigente ha sempre fatto il proprio manifesto. In questo caso, se dovesse votare contro l’autorizzazione a procedere prevista dall’articolo 96 della Costituzione, il M5S contravverrebbe gravemente ai suoi stessi principi fondanti, finendo per tradire le aspettative di giustizia ed equità dei propri elettori. Nel caso opposto, ossia di voto favorevole, verrebbe a crearsi una spaccatura insanabile con la Lega con la conseguenza di una caduta del governo attualmente in carica.

di Massimo Caruso

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