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Myanmar, continuano le violenze contro i Rohingya

BurmaLe Nazioni Unite denunciano nuove violazioni dei diritti umani, di uccisioni di civili disarmati e incendio di insediamenti rurali nello stato del Myanmar di Rakhine a maggioranza musulmana. Le agenzie umanitarie stimano che più di 15mila persone siano state sfollate da quando l’esercito ha preso il controllo di una zona vicino al confine con il Bangladesh. Presunti  attacchi contro posti di polizia all’inizio del mese di ottobre avrebbero spinto il governo ad un giro di vite contro la minoranza musulmana. Da allora i militari hanno bloccato, ai gruppi per i diritti e ai giornalisti, l’accesso nella zona abitata prevalentemente dai Rohingya, colpevoli, secondo il governo, degli attacchi ai posti di polizia.

Il Relatore Speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, Yanghee Lee, ha riferito che le autorità statali avevano promesso di avviare una corretta inchiesta sull’incidente e non accusare nessuno fino a quando non avessero avuto in mano “prove concrete”. “Invece, riceviamo ripetute accuse di arresti arbitrari e esecuzioni extragiudiziali che si verificano nel contesto delle operazioni di sicurezza condotte dalle autorità alla ricerca dei presunti aggressori”, riporta la dichiarazione rilasciata dalle Nazioni Unite con la quale esorta il Myanmar “ad avviare indagini adeguate e approfondite su presunte violazioni”.

“Rapporti  di case e moschee bruciate, di persone di un determinato profilo rastrellate e fucilate sono allarmanti e inaccettabili”, ha dichiarato il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni sommarie Agnes Callamard. “Le autorità non possono limitarsi a giustificare chi spara su persone sospette solo sulla base della gravità del crimine”, ha aggiunto, riferendosi agli assalti delle guardie di frontiera, assalti che hanno scatenato la repressione.

Mentre i dettagli di abusi militari sono difficili da verificare, l’Onu ha riferito di aver ricevuto “accuse ripetute nel contesto delle operazioni di sicurezza”, violenza che ha innescato timori di una ripetersi della rivolta che ha devastato lo Stato nel 2012.

A settembre del 2012, scontri tra etnie Rakhine buddiste e Rohingya musulmane rasero al suolo case e luoghi di culto nelle zone settentrionali dello Stato, lasciando più di cento morti e decine di migliaia di sfollati. Il governo impose il coprifuoco notturno e dichiarò lo stato di emergenza in sei comuni, tra cui Maungdaw e Buthidaung vicino al confine con il Bangladesh.

Da allora la condizione degli 800mila musulmani Rohingya non è migliorata: hanno sofferto e continuano a soffrire di gravi e persistenti violazioni dei diritti umani. Autorità del Myanmar, polizia e forze di sicurezza locali sono impegnati in una violenza diffusa, atti di tortura, detenzione arbitraria, stupro ed altri crimini.

Gli atti commessi contro i Rohingya, individualmente e collettivamente, soddisfano i criteri per la ricerca di atti elencati nella Convenzione sul genocidio e sono stati perpetrati nei confronti di un gruppo protetto, come ha dimostrato un’analisi legale pubblicata nell’ottobre 2015, Persecution of the Rohingya Muslims, “Is genocide occurring in Myanmar Rakhine State?”, a cura della Yale Law School for Human Rights.

di Cristina Amoroso

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