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Mediterraneo, 2977 rifugiati morti nel 2016

di Cinzia Palmacci

Il 2016 si sta rivelando un anno particolarmente tragico nel Mediterraneo, secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim).

Nei primi cinque mesi dell’anno, infatti, i migranti morti mentre attraversavano il Mediterraneo per raggiungere le coste europee sono stati 2977. Mille in più rispetto ai dati che si sono registrati tra gennaio e maggio dello scorso anno. Nel 2015 le vittime sono state 1.828. Delle 2977 vittime nei primi cinque mesi del 2016, 2.438 sono morti nella “Central Mediterranean Route”. La maggior parte originari del Paesi dell’Africa centrale. È la rotta che tocca più da vicino l’Italia, perché i suoi approdi principali sono le coste di Palermo, della Sicilia meridionale e di Lampedusa, (oltre a quelle maltesi). 376 sono morti attraversando la “Eastern Mediterranean Route”; i migranti arrivano principalmente da Siria, Afghanistan, Somalia. 45 sono morti attraversando la “Western Mediterranean Route” che comprende sia l’attraversamento dello stretto di Gibilterra sia il passaggio delle frontiere di Ceuta e Melilla, due enclave spagnole sulle coste del Marocco.

“Quest’anno abbiamo notato un ritorno nell’uso dei barconi provenienti dalla Libia, oltre ai gommoni che nell’ultimo periodo venivano maggiormente utilizzati, spiega Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim. Questa costituisce una delle principali cause dell’aumento delle morti: su questi vecchi pescherecci, infatti, possono stare anche 600-700 persone, quindi in caso di naufragio si contano molte più vittime”. Inoltre, in molti casi si tratta di imbarcazioni particolarmente fatiscenti: “In un caso recente di naufragio abbiamo visto che un peschereccio era stato fatto partire da un altro, senza motore, aggiunge. E’ la prima volta che ci capita di vedere una cosa del genere”. Fino a qualche mese fa i barconi in legno non venivano più utilizzati: “Ci siamo chiesti come mai,  spiega, probabilmente non c’era disponibilità di averne. Ora, non sappiamo come, alcuni gruppi di trafficanti sono riusciti a fare rifornimento di vecchie barche, ma questo ci preoccupa, per l’alto numero di persone che solitamente riescono ad imbarcare. E che quindi rischiano la vita”.

Di certo, non meno pericolosi sono i gommoni. Anch’essi spesso totalmente fatiscenti. “In molti casi vengono gonfiati direttamente sulla spiaggia: questo dà molta flessibilità ai trafficanti che possono cambiare punto di partenza all’ultimo minuto e così evitare i chek point o i punti in cui ci possono essere scontri con bande criminali, afferma Di Giacomo. Ma si tratta di gommoni in pessime condizioni, in cui il rischio per la vita delle persone non è minore”. L’altro punto fermo è che la rotta del Mediterraneo centrale rimane la più rischiosa: lo era lo scorso anno con circa 2900 vittime, sulle 3.800 totali, lo conferma quest’anno con 2900 morti in soli sei mesi. Ad alimentare il rischio c’è l’incremento delle partenze dall’Egitto: una rotta più lunga e dunque ancora più temibile. “Ogni anno registriamo un 10-15 per cento di sbarchi dall’Egitto ma quest’anno le partenze sono aumentate. Il flusso è cominciato prima, aggiunge il portavoce dell’Oim, ne abbiamo registrate già a febbraio ed è inusuale, perché di solito iniziano quando il clima è più tranquillo, in estate. In assoluto, l’ultimo dato disponibile di aprile dice che sono arrivate nei primi quattro mesi 2000 persone rispetto alle 200 dell’anno precedente: un aumento considerevole. E’ legato sia alla domanda di persone che cercano di evitare la Libia perché è sempre più pericoloso, soprattutto per chi arriva dal Corno d’Africa. Ma anche perché sono aumentati gli egiziani che decidono di lasciare il Paese”.

Sul totale degli arrivi essi rappresentano infatti l’undicesima nazionalità di appartenenza: a fine giugno erano circa 2600 contro i 344 dell’anno precedente. Rispetto alle nazionalità, secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero dell’Interno il primo Paese di origine è la Nigeria (16 per cento del totale pari a circa 12mila persone) seguito dall’Eritrea con 8.900. “Quello che stiamo notando è un aumento notevole di persone che arrivano dall’Africa sub sahariana e un calo di arrivi dal Corno d’Africa, spiega Di Giacomo, gli eritrei, in particolare, sono diminuiti: dai 19mila dell’anno scorso agli 8800 di quest’anno. Anche i somali sono molto meno, mentre sono quasi triplicate alcune nazionalità come Mali, Costa d’Avorio, Guinea. Questo si può spiegare col fatto che la situazione in Libia è sempre più pericolosa per i migranti e molti, avendo difficoltà a tornare nel Paese d’origine, decidono di continuare il viaggio verso l’Europa, continua, lo fanno per salvarsi vita, anche se poi la mettono a rischio in mare”.

In ogni caso la migrazione più massiccia continua ad essere sud-sud: resta cioè in Africa, in Libia o nei Paesi confinanti. “Non c’è nessun allarme per l’Italia: non hanno fondamento le voci di centinaia di migliaia di persone pronte a partire, conclude. I numeri ci dicono che stiamo sugli stessi livelli dello scorso anno (77mila arrivi fino all’8 luglio 2016 contro i 73mila dello stesso periodo 2015). Quella che stiamo vivendo non è un’emergenza numerica ma umanitaria: perché a fronte dello stesso numero di arrivi le morti aumentano in maniera esponenziale. E questo è il vero problema”. Aumenta anche il numero dei migranti minori: nel 2015 alla fine di maggio gli arrivi degli under 18 erano stati 4.566; tra loro circa 3.058 viaggiavano da soli. Quest’anno sono stati 7.567, tra cui 7.009 non accompagnati. In Libia il Capo della Missione Oim Othman Belbeisi ha notato questa settimana che la Guardia Costiera libica sta ora fornendo dati regolari dei migranti che tentano di salpare per l’Europa ed ha avuto anche un certo successo nel far tornare indietro le imbarcazioni. L’Oim Libia è stato anche in grado di rimpatriare volontariamente un gran numero di migranti bloccati nei Centri di detenzione libici nei loro Paesi d’origine, per lo più in Africa occidentale.

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