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Mediterraneo, tra disordine internazionale e business

La Guardia Costiera Italiana svolge diversi compiti altamente qualificati e fondamentali per la nostra Nazione, tra i quali la salvaguardia della legalità e della sicurezza sul pescato che giunge sulle nostre tavole e le operazioni di ricerca e soccorso dei barconi dei migranti nel Mediterraneo (la cosiddetta attività “S.A.R.”). Dati gli argomenti di notevole attualità e interesse pubblico “Il Faro sul Mondo” ha chiesto alle Relazioni Esterne e all’Ufficio Stampa della Guardia Costiera un confronto/intervista sulle materie in questione, ma per diverse circostanze interne all’organismo, per il taglio delle domande e per varie disposizioni non è stato possibile avere questo scambio.

Meglio comunque non esimersi dal riflettere su alcune considerazioni

Circa la pesca illegale è necessario sapere che esiste una politica europea comune che ha l’obiettivo di porre norme intese a garantire che il cibo proveniente dal mare sia tollerabile e corretto dal punto di vista ecologico, economico e sociale, e che soprattutto sia sano per la salute dell’uomo. Dunque, solo i prodotti della pesca in mare dichiarati legali dallo Stato di bandiera competente o dal Paese esportatore attraverso la validazione del relativo certificato di cattura, possono essere importati nell’Unione o da essa esportati.

L’Ue pubblica periodicamente una lista (una “black list”) di pescherecci che praticano pesca non conforme alle regole basandosi sulle segnalazioni delle organizzazioni regionali e offre la possibilità di iscrivere in questo elenco anche i Paesi che chiudono più di un occhio sulle attività di pesca illegale. Recentemente sono stati inseriti nella black list il Belize, la Cambogia e la Guinea.

Con questi Paesi sono vietati accordi commerciali e qualsiasi forma di scambio con l’Unione Europea. Potremmo dunque dedurre che l’area che maggiormente interessa la provenienza di prodotto ittico illegale e non conforme alle norme si estende dall’America Centrale all’Asia, passando per l’Africa.

In Italia, i responsabili nazionali dell’applicazione della normativa sono le Autorità Marittime (i comandi territoriali del corpo delle Capitanerie di porto) e l’Agenzia delle Dogane. L’autorità unica di coordinamento è invece la Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

In merito a tutto questo la domanda è una: usualmente dietro a chi importa del prodotto ittico illegale c’è un’organizzazione criminale (vedi le mafie o vari clan locali malavitosi) o ci sono singoli “piccoli” pescatori che hanno diciamo, una loro attività? Inoltre, come può avvenire un contatto tra chi vuole importare del prodotto da un Paese inserito nella lista nera?

Probabilmente le distanze e i trasporti da coprire, i contatti sul territorio da una costa all’altra “del mondo” e il personale che eventualmente sarebbe necessario impiegare per questi eventuali traffici illeciti, farebbe supporre che la dimensione degli affari in questione richieda una più vasta struttura criminale organizzata con un profilo internazionale, piuttosto che la modesta società di un singolo pescatore. A meno che quest’ultimo non rappresenti un tassello più grande di lui.

Nelle cronache purtroppo si parla in generale dei sequestri di pescato illegale, ma non si accende l’attenzione e non si discute quasi per niente su chi ci sia dietro questi affari illeciti. Altra nota dolente e problematica che si voleva trattare era la relazione tra Guardia Costiera, salvataggi in mare e ruolo delle Ong. Chiaramente questo è un nodo che apre a discussioni e accordi internazionali, sebbene in queste settimane di avvicendamenti politici, si senta curiosamente parlare poco di sbarchi.

Oltre tutte le chiacchiere e le discussioni che si possono fare su questa questione, spogliando il problema di ogni ipocrisia politica e lasciandolo nudo e crudo com’è, il nocciolo del tema è uno solo: porre sotto controllo il fenomeno migratorio perché un Paese non si deve basare su politiche di emergenza ma su pianificazioni, poiché il ritorno in patria dei mercenari dell’Isis esiste ed è documentato dal 2012 e perché è un dato di fatto, sebbene se ne parli poco per ovvi motivi d’interesse politico, che ci sono holding internazionali del crimine e mafie che sfruttano la tratta di esseri umani per denaro.

L’umanità deve provare vergogna di fronte al male non denunciato, al guadagno e agli interessi politici ed economici che ci sono dietro ogni essere umano che si mette o viene messo in mare. Purtroppo di questa nuova schiavitù umana che su larga scala diventa un sistema generale di nuova schiavitù economica, si riesce a sapere molto poco, solo appena la punta dell’iceberg; il resto è solo rumoroso brusìo.

Circa le Operazioni S.A.R IMMIGRAZIONE (“Search and Rescue”), ossia il lavoro di Ricerca e Soccorso compiuto quasi quotidianamente dalla Guardia Costiera, è noto (dal corso aggiornamento Fnsi – Guardia Costiera 23 Novembre 2017) che barche a vela e “barchine” sono riuscite ad approdare sulle nostre coste senza essere intercettate. Stando a questo dato dello scorso Novembre, circa 4700 persone sono arrivate a terra e si sono disperse sul territorio nazionale senza controllo.

Allora, una supposizione (forse anche errata) è venuta alla mente: ma non potrebbe essere che l’enorme flusso migratorio sia oltre tutto ciò che sappiamo, anche una manovra diversiva che consente di far sbarcare per mezzo d’imbarcazioni non rilevabili in porti non noti, persone necessarie a scopi precisi? In effetti, è possibile controllare ogni secondo tutto il Mediterraneo? E, se una qualsiasi imbarcazione (supponiamo anche una barca di un certo livello) non lancia alcun Sos e non è oggetto di attenzione, ricerca e soccorso, potrebbe navigare ipoteticamente fino a un punto stabilito di una qualsiasi spiaggia?

La Guardia costiera ha un velivolo altamente sofisticato, l’ATR42 MP dotato dell’EOST, gruppo elettro-ottico e di un radar in grado di captare anche imbarcazioni ad alta velocità, di piccole dimensioni e di ridotta riflessione radar: quale potrebbe essere allora la minima riflessione radar per non essere rilevati? qual è lo spazio aereo di tale velivolo?

A tali domande non è possibile avviare alcun ragionamento induttivo che dia una parvenza di risposta in quanto riguarda un ambito molto tecnico dell’attività S.A.R. L’ambito delle Ong che operano in mare apre ulteriormente ad altre considerazioni, sicuramente internazionali.

Si prenda ad esempio un fatto di cronaca: la Ong “Sos Mediterranée” tra il 22 e il 23 Novembre del 2017 ha “denunciato” di essere stata “costretta” dalla Guardia Costiera Italiana a restare in “stand by” di fronte a un potenziale episodio di salvataggio poiché era compito della Guardia costiera e della Marina libica intervenire.

Perché ad una Ong appartenente ad uno Stato specifico può sembrare così strano dover rispettare un accordo italo-libico (il “Memorandum d’Intesa” per il contrasto dell’immigrazione illegale firmato da Gentiloni e Fayez al Serraj Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale di Tripoli), visto che a monte il problema è chiaramente quello di dover governare i flussi migratori, l’immigrazione clandestina e soprattutto di non alimentare, arricchendolo, il business di quelle holding internazionali del crimine che sfruttano la tratta dei migranti? Sembrerebbe quasi scontato notare che la brutalità della questione è molto più ampia, che c’è una strada grigia e buia che porta alla conseguenza dei salvataggi.

Ora, riportiamo un altro episodio più recente, sperando che la sintesi della ricostruzione dei fatti sia opportuna, in considerazione delle diverse voci dei protagonisti:

Il 15 Marzo 2018 il Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma viene avvertito della presenza di gommoni in difficoltà a soli 70 Km circa dalla costa libica. All’allarme dell’IMRCC rispondono il Centro di Tripoli che fa capo al governo di Unità Nazionale e la nave “Open Arms” della ong spagnola “Pro Activa”. Quest’ultima arriva per prima, in anticipo rispetto alla Guardia Costiera Libica che a sua volta intima alla ong di lasciare loro i migranti da soccorrere. “Ha la meglio” la nave “Open Arms” che non sbarca i migranti a Malta, il porto più vicino alla zona dei soccorsi, laddove ha dovuto fare sosta per cure mediche urgenti di una mamma con un figlio, ma prosegue verso l’Italia ottenendo infine il permesso di approdare a Pozzallo il 17 Marzo. Qui però viene sottoposta a sequestro preventivo dal Procuratore Zuccaro, con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Il 16 Aprile il giudice per le indagini preliminari (Gip) di Ragusa, Giovanni Giampiccolo, ha disposto il dissequestro della nave dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms e il 21 Aprile la questa ha lasciato l’Italia alla volta del porto di La Valletta, Malta.

Alla luce della cronaca potrebbe essere appropriato domandarsi: ma il Centro di Coordinamento dei Soccorsi, l’Mrcc libico è stato riconosciuto/legittimato dall’Imo (Organizzazione Marittima Internazionale – Agenzia Autonoma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite)?

Le operazioni non sarebbero dovute essere gestite dalle Autorità Libiche in base al Memorandum d’Intesa firmato dall’Italia col Governo Libico riconosciuto? Con quale potere una ong Spagnola interferisce con accordi diplomatici tra due entità statali?

Alla prima domanda possiamo rispondere, no, il Centro di Coordinamento dei Soccorsi Libico non è stato riconosciuto dall’Imo e è chiaro che tale ritardo crea delle problematiche incredibili in una situazione già caotica come quella del Mediterraneo. Sarebbe il caso di procedere, oppure almeno, l’Onu potrebbe prendere in considerazione che si poteva evitare di bombardare tanto velocemente la Libia visto l’inferno che di conseguenza si è creato. Alla seconda domanda, intuitivamente la risposta dovrebbe esser sì, perché c’è un accordo internazionale tra Italia e Libia (il governo riconosciuto); infine per argomentare sul terzo interrogativo sarebbe necessario un ulteriore approfondimento volto allo studio dei meccanismi che muovono le Ong operanti nel Mediterraneo.

Si arriva in ultimo a dover prendere in esame la “Convenzione di Amburgo”. Essa è una convenzione internazionale nata il 27 aprile del 1979 che disciplina le modalità, le responsabilità e gli obblighi sul salvataggio marittimo. Con la Legge n. 147 del 03.04.1989 l’Italia l’ha ratificata. C’è da chiedersi: la Libia ha mai ratificato l’accordo in questione e ha mai dichiarato la sua zona Sar (la zona di specifica responsabilità di ricerca e soccorso in mare)?

La risposta è si e l’ha fatto grazie all’Italia. Nell’Agosto del 2017, proprio in coincidenza con l’imposizione di un codice di condotta alle Ong da parte del ministro dell’Interno Minniti, la Libia ha comunicato all’Organizzazione Marittima Internazionale la sua Area di ricerca e salvataggio (zona S.A.R.) e la Marina libica, fedele al governo del premier del governo di unità nazionale di Tripoli di Fayez al Sarraj, ha imposto a tutte le navi straniere il divieto di soccorrere i migranti nelle aree cosiddette “search and rescue” (Sar), che vanno molto oltre le 12 miglia nautiche delle acque territoriali, salvo una richiesta espressa alle autorità libiche.

Si può notare dunque che da parte dell’Italia c’è l’intento di provare a risolvere situazioni disastrose e fuori controllo, scatenate anche da conflitti incomprensibili e totalmente contrari al nostro interesse nazionale, ma non tutto è bianco e nero e non è semplice comprendere la natura delle cose in quanto spesso, sia a livello legale (norme e accordi) che illegale, gli interessi sono molteplici e internazionali. Di qui poi, guardare alle problematiche relative agli accordi di Dublino è un attimo.

di Ilaria Parpaglioni

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