CronacaPrimo Piano

Malgrado le promesse l’Italia continua a cadere a pezzi

di Salvo Ardizzone

Il 2 marzo scorso è crollata una campata della Salerno–Reggio Calabria e un operaio rumeno, Adrian Miholca, è morto dopo un volo di sessanta metri. È accaduto a Laino Borgo, nel tratto fra Cosenza e la Basilicata, oggetto degli eterni lavori di ristrutturazione che continuano ad ingoiare una valanga di miliardi senza mai giungere alla fine.

Il giovane lavorava per una ditta che aveva preso una parte del lotto interessato in subappalto; ora la Magistratura vuol vederci chiaro, anche perché di morti bianche nei cantieri della A3 ce ne sono state diverse, alimentate proprio dal sistematico ricorso ai subappalti da parte di chi se li è aggiudicati. È da lì, come denunciato da più parti, che vengono turni di lavoro spropositati e condizioni di sicurezza approssimative che chi ha bisogno d’un lavoro accetta comunque.

La conseguenza è stata il sequestro del tratto di autostrada con la sua chiusura totale, e l’attivazione dei cosiddetti percorsi alternativi che deviano il traffico su una rete viaria che già sopporta male il traffico locale. Se poi si considera che le scelte degli anni ’60, sotto la spinta del lobbysmo Fiat, puntarono tutto sul trasporto gommato a scapito delle ferrovie che al Sud cadono letteralmente a pezzi, si scopre che Sicilia e Calabria, quando va bene sono attaccate (si fa per dire) al resto dell’Italia con un nastro d’asfalto in condizioni precarie e da decenni in ristrutturazione, e quando anche quello s’interrompe sono isolate.

È da lì che passa la gran parte delle merci, soprattutto quelle deperibili, e ora, con le deviazioni, il tragitto già interminabile verso i mercati del Nord subisce ritardi paurosi che, all’arrivo nelle piattaforme commerciali, nel migliore dei casi si traducono in multe salatissime per chi spedisce e per chi trasporta.

L’Anas, che nell’era Ciucci riesce a confezionare un disastro dietro l’altro (come esempio ricordatevi la vergogna del viadotto sulla Palermo–Agrigento, crollato appena dopo l’inaugurazione), se ne è lavata le mani dichiarando che non sono prevedibili i tempi della riapertura del tratto, punto.

Resta un sistema che partorisce opere mai completate, perché così continueranno a divorare fiumi di denaro che, di appalto in subappalto, finiranno chissà dove, con i risultati sotto gli occhi di tutti. Restano due Regioni, che di problemi propri ne hanno già ad ufo, abbandonate dalle Ferrovie e costrette ad avviare le proprie merci su una rete viaria che definire da terzo mondo è generoso. Resta un establishment dell’Anas, che dovrebbe governare una funzione così importante, sistematicamente al di sotto delle capacità minime di gestione, senza che nessuno si sogni di chiamarlo a render conto dello sfascio. Uno sfascio, badate bene, che coinvolge tutti e alla cui tavola sono tanti a banchettare.

Resta l’Italia, un disgraziato Paese che, fra un tweet fuori dalla realtà del Premier e una “gloriosa” marcia del “fenomeno” di turno che promette (a parole) di risolvere tutti i problemi, diviene sempre più irredimibile.

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