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L’uccisione del mullah Mansour nell’infinito pantano afghano

di Salvo Ardizzone

Il 20 maggio scorso, il mullah Mohammad Mansour, leader dei talebani, è stato eliminato da due Hellfire in un raid autorizzato dalla stessa Casa Bianca. Obama ha confermato la notizia dell’attacco avvenuto nel Balucistan, sottolineando che gli Usa hanno operato di concerto con il Pakistan, malgrado i pakistani si siano immediatamente lamentati per la violazione del proprio spazio aereo di cui si sono dichiarati all’oscuro.

Nella realtà si tratta di un ennesimo gioco delle parti nell’infinito pantano afghano: Mansour era stato riconosciuto nuovo leader dei talebani dalla Shura di Quetta il 30 luglio scorso, dopo che era trapelata la notizia della morte del mullah Omar; una morte avvenuta addirittura nel 2013 e tenuta nascosta per non disturbare le trattative in corso per giungere ad un accordo con la benedizione sia dell’Isi (l’onnipotente servizio pakistano) che della Cia. Il prestigio del capo già morto (e che non poteva interloquire) era infatti usato dalle parti per avallare un’intesa.

Allora era candidato a succedergli il suo figlio maggiore, Mohammad Yaqoub pronto a proseguire le trattative, ed una potente fazione dei talebani non aveva riconosciuto Mansour. Per evitare una guerra dagli esiti disastrosi per il movimento, Yaqoub ha riconosciuto Mansour, spianandogli la strada.

Il nuovo capo, però, era contrario ad ogni accordo sia con il Governo di Kabul, sostenuto dagli Usa, sia con il Pakistan, giudicato troppo invadente negli affari afghani, determinando il blocco dei colloqui di pace. Adesso, l’improvvisa morte di Mansour elimina l’ostacolo principale agli intrighi di Cia ed Isi, che da mesi tentano inutilmente di riallacciare i colloqui.

Il candidato al momento più accreditato alla successione è Sirajjuddin Haqqani, a capo dell’omonimo network terroristico dichiarato fuorilegge dagli Usa, ma coccolato dal Pakistan che se ne serve come proprio braccio armato “coperto” per i propri lavori “sporchi”.

Ad avvalorare l’idea che quella di Mansour sia stata un’eliminazione concertata, c’è il fatto che si sia verificata in Balucistan, cioè in territorio pakistano: è la prima volta che i droni colpiscono fuori dalle aree tribali, un ampio territorio formalmente pakistano ma nei fatti di dubbia sovranità al confine con l’Afghanistan. Se a questo s’aggiunge che c’è un preciso accordo con cui la Casa Bianca s’è impegnata a non colpire nel Balucistan, dove Islamabad (più precisamente l’Isi) nasconde i propri ospiti impresentabili, al di là delle proteste di facciata è chiaro che c’è stato un accordo per eliminare un capo scomodo e arrivare a un’intesa che soddisfi gli interessi di Usa e Pakistan.

Ovviamente, di quelli del Popolo afghano, da decenni straziato da occupazioni militari e guerre, a nessuno importa.

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