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Lo strategico potenziamento del dispositivo militare russo nell’Artico

di Salvo Ardizzone

Entro il 2018, la Russia di Putin completerà 9 nuove basi aeronavali nell’Artico e ultimerà il potenziamento di quelle già esistenti.

Il dispositivo si basa sulla sempre più potente Flotta del Nord, che ha nella portaerei Kuznetsov e su un numero crescente di sottomarini il suo fulcro; sulla copertura del sistema missilistico S-400 dislocato a fine 2015 nell’arcipelago Severnaja Zemlja; su una componente terrestre, puntigliosamente definita in crescita dall’Ammiraglio Vladimir Korolev, di altissimo livello professionale, che ha nella potente 61^ Brigata di Fanteria di Marina (denominata non a caso “Gli Orsi Bianchi”) la sua punta di lancia.

Un insieme di forze appoggiato a infrastrutture aeronavali e terrestri realizzate in completa discrezione, grazie alla logica delle “città chiuse” (aree amministrate in esclusiva dal Ministero della Difesa e dall’Agenzia Federale per l’Energia Atomica); un dispositivo reso temibile ed efficiente dallo specifico know-how russo nelle tecnologie in ambienti polari.

L’interesse per l’Artico appare ovvio per la Russia, ma nel periodo successivo al collasso dell’Urss molte basi erano state abbandonate ed altre ridotte al minimo; è stato a partire dal 2007 che si è manifestata una precisa strategia, quando il sottomarino Mir-1 ha fissato una bandiera russa a 4mila metri di profondità sotto l’Oceano Artico, a rivendicazione della sovranità di Mosca su una parte consistente delle acque attorno al Polo Nord, in virtù del fato che quei fondali sono il prolungamento della piattaforma continentale siberiana.

Il motivo di questo rinnovato interesse è tutt’altro che di semplice prestigio ed è duplice: i mutamenti climatici in atto da anni stanno aprendo il passaggio a Nord-Est, particolarmente utile ai Russi per aggirare gli stretti del Bosforo e di Suez in mani quantomeno ambigue, che permette di raggiungere l’Asia Orientale in molto meno tempo, e comunque costituisce uno sbocco per ogni altra destinazione fino a poco tempo fa completamente bloccato. Inoltre, ed altrettanto se non più importante, le acque artiche coprono almeno il 30% delle riserve mondiali inesplorate di idrocarburi.

Stati Uniti, Canada, Norvegia e Danimarca (in virtù della sovranità sulla Groenlandia) possono vantare diritti sovrani su parte di quelle acque, e la crescente strategicità della rotta polare è testimoniata dal fatto che nel 2014 sono già state 600 le navi non appartenenti alla Russia che l’hanno solcata (fino a pochi anni prima, i passaggi erano singoli episodi memorabili).

Per evitare che altri la pongano dinanzi a fatti compiuti in un’area di sua naturale pertinenza, la Russia di Putin ha voluto giocare d’anticipo blindando di fatto l’Artico e rivendicando quella che è una sua storica sovranità. Gli altri, abituati a spadroneggiare dietro discutibili paraventi di pseudo-legalità addomesticata, dovranno farsene una ragione.

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