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L’Italia e l’ambiguo sistema per l’esportazione di armi

di Salvo Ardizzone

L’industria delle armi e la loro esportazione sono settori delicati; per la loro natura dovrebbero riflettere e sostenere gli interessi strategici del Paese, e per questo essere sotto lo stretto controllo del Parlamento.

Appunto, dovrebbero. La legge dice che annualmente il Governo deve trasmettere alle Camere una “relazione sulle esportazioni dei sistemi militari” che, entro 30 giorni, dovrebbe essere discussa nelle Commissioni di Camera e Senato (Affari Costituzionali, Esteri, Difesa e Finanze, Industria). Così avverrebbe in uno Stato normale, in Italia invece è dal 2008 che le Commissioni ignorano quelle relazioni. L’ultima, quella del 2013, è stata trasmessa nel giugno scorso: un volume di quasi 1.700 pagine praticamente illeggibile, zeppo d’informazioni generiche e incomplete dal quale non si può capire non solo a quale Paese siano effettivamente destinati quei mezzi, ma neanche se ad essere venduti siano stati, ad esempio, elicotteri da soccorso o micidiali Mangusta da attacco.

Ovviamente i parlamentari potrebbero chiedere chiarimenti ma, come detto, è dal 2008 che quelle relazioni vengono impilate a prender polvere in qualche scaffale, senza che nessuno si degni di leggerle. E si che a farlo qualche sorpresa ci sarebbe, come la notizia che nel 2013 l’Italia ha spedito per il mondo armamenti per € 2.751.006.957, appena sotto il record assoluto del 2012, smentendo i lamenti delle industrie del settore e degli ambienti della Difesa che parlano d’un crollo delle esportazioni. Inoltre si nota che in quell’anno, s’è registrato il record di autorizzazioni ed esportazioni di sistemi d’arma nelle zone di crisi sconvolte da conflitti e da tensioni.

Siamo sicuri che quelle forniture corrispondano agli interessi del Sistema Italia, della sua politica estera e della sua sicurezza? Il dubbio è che siano dettate dall’esigenza d’incrementarle a prescindere, soprattutto quelle d’un colosso del settore come Finmeccanica che è controllato dallo Stato.

Una verifica da parte del Parlamento sarebbe ovvia in un Paese normale, ma già, in Italia questo non vale, siamo il Paese dove i lobbysti dettano legge e i parlamentari, ammesso che abbiano la minima conoscenza di quegli argomenti, s’interessano comunque di cose assai più importanti per loro, come il mantenimento delle poltrone. E d’altronde, le uniche direttive che l’Italia segue veramente sono quelle che vengono da fuori, Washington, Berlino o Bruxelles che siano, per il resto son solo gli interessi di bottega a fare testo.

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