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Libia. Petroliera coreana… “ci pensano” i Navy Seals

di Salvo Ardizzone

Lo ha comunicato il Pentagono alla Cnn: i Seals (le Specials Forces dell’Us Navy) hanno preso il controllo della Morning Glory, la petroliera nord coreana caricata di greggio a Es Sider, sotto il controllo dell’auto proclamato Governo della Cirenaica. Secondo quanto riferito, l’abbordaggio (o l’elisbarco, non è riferito) è avvenuto domenica 16 marzo, al largo della costa cipriota dopo le ore 22, su espresso mandato delle autorità di Tripoli e di Nicosia.

È l’ultimo atto d’una vicenda che parte da lontano: la Libia del dopo Gheddafi è un Paese in pezzi; a Tripoli, un simulacro di governo che non rappresenta nessuno, è ostaggio di milizie in lotta fra loro, che occupano sistematicamente ministeri e parlamento finché non vengono soddisfatte ; a sud, il Fezzan è completamente fuori controllo, preda delle bande di jihadisti che spadroneggiano nel Sahara e dei predoni saldati alle milizie del tempo della guerra civile.

In Cirenaica le cose sono ancora più complesse: da sempre i rapporti sono stati pessimi con la Tripolitania; i clan e le tribù locali storicamente hanno subito male l’egemonia di Tripoli,  ora rifiutano la sua autorità (ammesso che ne abbia alcuna). Inoltre, è sempre stata terra d’integralisti, e le recenti vicende hanno fatto attecchire numerosi gruppi jihadisti che hanno preso il controllo di vasta parte del territorio; l’attacco al Consolato americano di Bengasi, del settembre del 2012, quando trovò la morte l’ambasciatore Chris Stevens, ne è solo un esempio.

In questo spaventoso marasma, l’estrazione e la vendita di greggio e gas si sono ridotte paurosamente: per il petrolio si è passati dai circa 1,5/1,6 ml di barili giornalieri, ad una produzione che oscilla fra i 350.000 e i 500.000 barili, a seconda dei capricci delle milizie, che ricattano sistematicamente le compagnie petrolifere estorcendo somme per permettere l’estrazione; per il gas è la stessa cosa. Solo l’Eni è riuscita a mantenere un minimo di operatività, grazie a storici rapporti nell’area, ma per Inglesi, Francesi e Americani è buio pesto (per inciso: ci piacerebbe sapere cosa ne pensano, dopo aver fatto una guerra per quei pozzi).

In questo quadro, Ibrahim Al Jathram, un giovane che ha passato sette anni nelle carceri di Gheddafi, e che durante la guerra s’è fatto un nome ponendosi alla guida della Brigata Hamza composta da migliaia di miliziani, era stato nominato capo del Corpo di Guardia del Petrolio, col compito di proteggere coi suoi uomini un certo numero di installazioni petrolifere e porti d’imbarco del greggio, dalle bande che spadroneggiano in tutta la Libia.

Ma i proventi del petrolio venduto da Tripoli non si sa bene dove e a chi finiscano, e questo suscita rabbia soprattutto in Cirenaica, dove ci sono circa il 60% degli impianti; così lo stesso Al Jathram, nell’ottobre scorso, ha occupato i porti petroliferi di Es Sider, Brega e Ras Lanuf nella Sirte, bloccando le vendite di greggio. Inoltre, s’è messo a capo d’una sorta di governo ombra, dichiarando alla Reuters che occorre tornare alla costituzione del 1951, con uno stato federale di Cirenaica, Tripolitania e Fezzan, disconoscendo lo stato centrale di Tripoli.

Per dare corpo a quanto detto, e finanziare la sua impresa, ha fondato una compagnia petrolifera indipendente, la Lybia Oil and Gas Corporation, offrendo petrolio alle compagnie straniere in nome d’un sedicente Governo della Cirenaica.

Tripoli ha reagito furiosa, per una volta mettendo da parte le rivalità che bloccano il simulacro di governo, e ha dichiarato che la flotta (alcune motovedette, per lo più quelle cedute dall’Italia per il controllo dell’immigrazione clandestina ai tempi di Gheddafi) avrebbe sparato sulle navi che avessero attraccato ai terminali occupati dai ribelli per imbarcare greggio.

Per qualche tempo la minaccia ha funzionato, ma l’8 marzo la Morning Glory, nord coreana, ma di cui non è chiaro né il reale proprietario, né l’armatore, ha attraccato al porto di Es Sider, imbarcando greggio per un valore di 36 ml di $; il carico è stato pure annunciato durante una cerimonia da Abdo Rabbo Al Borassi, attuale premier dell’auto proclamato Governo della Cirenaica.

Appena ripartita, a circa 20 miglia dal porto, la nave è stata però bloccata dalle vedette di Tripoli e ricondotta in rada, in attesa d’essere spostata in un porto della Tripolitania. Sembrava fosse finita, ma l’11 marzo, inspiegabilmente (ma solo per chi non conosce la situazione in loco e la potenza delle intimidazioni e delle mazzette), la nave riesce a prendere il largo.

A Tripoli la cosa ha avuto l’effetto d’una bomba: il premier Alì Zeidan è stato addirittura rimosso dall’incarico e il suo posto, in attesa d’una soluzione definitiva, è stato preso ad interim dal Ministro della Difesa Abdullah Al Thinni. Per Tripoli, e soprattutto per la parvenza di Governo, è una questione di sopravvivenza parare la minaccia di quelle vendite autonome che sancirebbero il “liberi tutti” d’uno stato praticamente “fallito”.

Di qui la disperata richiesta d’aiuto agli Usa che, individuata la nave, e ottenuta l’autorizzazione di Cipro nelle cui acque si trovava, sono intervenuti prendendone il controllo. Nel comunicato del Pentagono si precisa che nell’azione non c’è stato versamento di sangue, e che la nave era stata sequestrata da tre libici armati prima d’effettuare il carico; ora verrà scortata in un porto libico.

Come siano andate esattamente le cose forse lo dirà il tempo, ma tutta questa incredibile vicenda è l’ennesima dimostrazione di come la Nato, sotto la spinta anche troppo interessata di Francia e Inghilterra, si sia imbarcata in una guerra per trovarsi fra le braccia uno stato irrimediabilmente “fallito”, incapace del minimo controllo sul suo territorio, e cronica fonte di destabilizzazione per tutta l’area, già resa instabile dalle altre “primavere”.  E tanti saluti a quel greggio e gas per cui gli interessati cavalieri franco – inglesi erano scesi in campo.

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