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Libia, l’Occidente pronto ad attaccare

di Salvo Ardizzone

Che l’Occidente scalpitasse per precipitarsi in una nuova avventura militare in Libia era arcinoto da tempo, adesso lo annunciano anche i media. Per primo è stato il Times a rivelare che un contingente inglese di mille uomini era pronto a intervenire, dopo è stato il Mirror a fornire i particolari.

Secondo il giornale, l’operazione dovrebbe scattare nel giro di poche settimane; vi parteciperanno circa 6mila soldati fra unità inglesi, francesi e americane; il comando sarà affidato agli italiani. La missione non dovrebbe avere le caratteristiche di peacekeeping, né tantomeno di istruzione e assistenza, ma assumere un profilo “combat” vero e proprio al fianco delle milizie che appoggeranno il cosiddetto Governo di unità nazionale, l’ectoplasma posticcio partorito dagli accordi di Skhirat, in Marocco.

Gli Usa dovrebbero inviare unità di Marines appoggiate da team di Navy Seal; gli Inglesi un reparto scelto sostenuto da circa 200 operatori del Sas; i Francesi, che nell’area del Sahel sono già presenti in massa con l’Operazione Barkhane, dovrebbero impiegare assetti del “Commandement des Operations Speciales” e della Legione Straniera.

In appoggio ci sarebbero navi (la Royal Navy ha già inviato un cacciatorpediniere) e aerei per una nuova campagna aerea che, con tutta probabilità, avrebbe le sue basi in Italia, soprattutto in Sicilia, con una riedizione della sciagurata operazione del 2011, all’origine del mostruoso caos sanguinoso che si è determinato in Libia.

Secondo le previsioni, dopo essersi dispiegato in terra d’Africa, il contingente dovrebbe mettere in sicurezza i principali campi di petrolio e gas e i terminali petroliferi di Ras Lanuf e Marsa al-Brega, insidiati dalle bande che si rifanno all’Isis. Successivamente dovrebbe strappare Sirte ai miliziani.

Nei calcoli fatti dagli analisti, dovrebbero trovarsi di fronte circa 5mila armati, in continua crescita per l’adesione di sempre nuove bande alle forze del “califfo”, attirate dal denaro e dal “brand” prestigioso che assicura potere.

Detta così sembra una missione abbordabile, che dovrebbe concludersi con la vittoria sicura dell’Occidente. Peccato che, come già troppe volte visto in Iraq, Afghanistan e altrove, una volta entrati nel ginepraio libico, quegli uomini saranno visti come una forza d’invasione da tutte le milizie che non hanno aderito all’accordo e da molte che l’hanno sottoscritto, ma non intendono rinunciare al potere (e soprattutto ai soldi) che deriva dalle armi e dal controllo che con esse hanno sul territorio e sui traffici illegali che vi si svolgono.

L’Italia, che a quanto pare metterà in campo un numero limitato di soldati, avrà però per intero la responsabilità della missione. E francamente non riusciamo a immaginare i Marines Usa, i Sas inglesi e nemmeno i legionari francesi obbedire alle direttive di ufficiali italiani.

Viste le premesse, con tutta probabilità sarà l’ennesimo orribile pasticcio in cui si sta entrando, bandiere al vento, quando è divenuto ormai irrisolvibile, dopo averlo trascurato per anni quando era ancora possibile agire.

Il fatto è che Francesi e Inglesi stavano già per intervenire a prescindere da qualunque accordo: i primi da mesi sorvolano la Libia per mappare i bersagli e da tempo hanno le proprie forze speciali nel Fezzan; i secondi oltre ad avere elementi del Sas in Tripolitania, le prime bombe le avevano già sganciate tempo fa nell’area di Sabratha. A completare il quadro, anche gli Usa hanno sul campo decine di contractor controllati dalla Cia e l’Italia ha personale dell’Aise, il Servizio estero.

Adesso, sotto la spinta dei continui attacchi ai terminal ed agli impianti petroliferi (l’ultimo martedì, contro quello di Mellitah gestito dall’Eni e dalla compagnia nazionale libica), i novelli alfieri degli interessi occidentali scalpitano per accorciare i tempi nell’attesa che l’atteso Governo di unità nazionale venga alla luce. E nel timore che le milizie “alleate” cedano (e per invogliarle a fare pressioni sugli evanescenti Governi che dovrebbero implementare gli accordi di Skhirat) cominciano già a far cadere le bombe.

Da qualche giorno sono stati segnalati voli insistenti sopra Sirte e Bengasi; un Kc-135 francese, un grande aereo cisterna, è stato rilevato da Flightradar24 (il più attendibile sito mondiale di rilevazioni aeree) in uno strano volo che da Istres (in Provenza), attraverso lo spazio aereo italiano, lo ha portato a circuitare a velocità minima (quella necessaria per effettuare un rifornimento aereo) al largo delle coste libiche prima di fare rientro.

In serata, fonti egiziane hanno rivelato che lo scalcinato Esercito di Tobruk ha riconquistato Ajdabya, a sud di Bengasi, mentre numerose voci parlano di attacchi ripetuti condotti da aerei “sconosciuti”. Più chiaro di così. I “coalizzati” hanno già cominciato il loro lavoro.

A spingerli, dietro l’eterna scusa dell’Isis, è la stessa motivazione che li mosse nel 2011: il petrolio e il gas della Libia, e per la Francia anche l’esigenza di mettere in sicurezza l’area del Sahel, da cui tira fuori l’uranio per le proprie esigenze energetiche.

Rassegniamoci dunque, e prepariamoci all’ennesimo capolavoro dell’Occidente fatto di proclami ipocriti e bugiardi, massacri inutili, inasprimento della guerra che già c’è, ingerenze e doppi giochi di potenze straniere (nell’ordine: la solita Turchia, il Qatar, l’Egitto del dittatore Al Sisi di cui saremo certamente alleati, l’Arabia Saudita che vorrà dir la sua e così via).

E quando tutto questo sarà accaduto, rassegniamoci pure ad avere l’inferno – ma vero, come mai sperimentato – sulle porte di casa.

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