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Libia: elezioni farsa per coprire il fallimento della comunità internazionale

di Salvo Ardizzone

Il 25 giugno si sono aperti i seggi per le elezioni in Libia, ma a dire il vero, di elezioni hanno poco più che il nome: di circa 3,5 ml di aventi diritto, solo 1,5 ml s’è registrato per votare (a fronte dei 2,8 ml di quelle del 2012); in vastissime zone (vedi Cirenaica e Fezzan) non ci sono le condizioni minime per aprire i seggi e, alla fine, sarà già tanto se a votare saranno in 6/700mila. Quanto poi saranno regolari, fra milizie, intimidazioni, minacce, brogli e semplice disorganizzazione, non ci sarà nessuno a dirlo, perché di osservatori internazionali a rischiare la pelle per controllare una farsa non ce n’è l’ombra.

In realtà queste elezioni sono la certificazione del fallimento della comunità internazionale che, non sapendo che fare dinanzi al disastro che ha realizzato, ricorre al feticcio di una democrazia che non esiste, per inventarsi un interlocutore “legittimo” con cui trattare, per aver libero accesso a quegli idrocarburi (petrolio e gas) che sono il vero motivo di questo pasticcio.

Il fatto è che in Libia il potere “formale”, quello che verrà fuori dalla commedia che è in atto, non conterà praticamente nulla, perché sono quelli “informali” a dettar legge. E questi sono impegnati in una lotta cruenta, destinata a inasprirsi perché chi finirà sconfitto, vorrà riprendersi con le armi ciò che non è riuscito a prendersi nei seggi, vale a dire il controllo delle tante ricchezze che per ora rimangono sotto la sabbia.

Al momento, nel territorio che un tempo era la Libia, si affrontano due schieramenti principali: da un lato, appoggiato (e foraggiato) da Arabia Saudita ed Egitto, con la vaga quiescenza di vasta parte di un Occidente alla disperata ricerca d’interlocutori, c’è il generale Khalifa Heftar, con spezzoni dello sgangherato esercito libico e le temibili milizie di Zintan (quest’ultime a un passo da Tripoli). Una sua vittoria, segnerebbe il passaggio della Cirenaica (e della maggior parte dei giacimenti libici) sotto il controllo dell’Egitto; per questo, se la situazione dovesse precipitare, è probabile un intervento del regime di al-Sisi. Ma, cosa assai più importante, sarebbe l’ennesimo tassello della strategia saudita, tesa al controllo delle riserve di petrolio e gas e per la quale suscita rivolte e guerre in tutto il Medio Oriente.

L’altro schieramento, ma tale solo per semplificare, ha il suo nocciolo duro nelle milizie di Misurata e negli islamisti di Ansar al-Sharia; su tutti questi la Fratellanza Musulmana ha una certa influenza, e questo basta a farli nemici di sauditi e del regime di al-Sisi. Il pulviscolo delle infinite altre milizie e bande di predoni che attualmente flagellano il territorio che una volta era la Libia contano assai poco, e meno interessano a chi vorrebbe assumere solo il controllo delle ricchezze libiche.

Il disgraziato popolo libico da tutto questo è e resta fuori. Come pure resta fuori dai giochi l’Italia, che pure in quel Paese ha interessi enormi: non solo petrolio e gas e antichi rapporti economici, ma il problema di quelle immense folle di disperati che s’affollano sulle sue coste per raggiungere un miraggio bugiardo. Peccato che la Storia non attenda e corra seguendo le sue vie; peccato che le conseguenze ricadano sempre sulla pelle dei Popoli e mai sugli irresponsabili che giocano con i loro destini.

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