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Le clamorose rivelazioni sull’arsenale nucleare americano

di Salvo Ardizzone

Un rapporto, pubblicato pochi giorni fa dal Gao (un’organizzazione federale Usa paragonabile alla Corte dei Conti), ha riportato alla ribalta una situazione ben nota agli specialisti ma che pare incredibile ai profani, soprattutto per le straordinarie implicazioni in termini di sicurezza globale: l’intero arsenale nucleare Usa, le sue procedure d’impiego e di sicurezza dipendono da tecnologie informatiche che risalgono nel migliore dei casi agli anni ’70.

Su richiesta del Congresso, il Gao ha certificato che il 75% del budget federale per le tecnologie informatiche viene speso in manutenzioni sempre più difficili a causa della spaventosa obsolescenza di software ed harware, e della scarsità di personale in grado di gestirli proprio per la loro vetustà.

L’intero sistema di comando e controllo dell’arsenale nucleare americano (siti missilistici, bombardieri, aerocisterne, depositi, piattaforme d’intelligence, sorveglianza e ricognizione, etc.), è stato creato a partire dal 1963 ed è a tutt’ora implementato con linguaggi come Cobol ed Assembly a forza di floppyni e computer Ibm Series/1. Il Pentagono ha finalmente lanciato un programma per la sostituzione del sistema ma, nel migliore dei casi, non si completerà prima del 2020.

Tuttavia, anche i sistemi d’arma della “triade” (le tre componenti di un arsenale nucleare: terrestre, aereo e navale) sono sorprendentemente obsoleti, anzi, decisamente vecchi: i bombardieri B-52 volano ancora fra un programma d’aggiornamento e l’altro, e l’Air Force prevede di metterli a terra nel 2040, a novant’anni (!) dal loro primo volo; i B-2 sono in tutto una ventina, talmente costosi e di difficile impiego da essere tenuti quasi sempre a terra; i B-1B, già assai vecchi anche loro, sono ormai stati destinati alle missioni convenzionali (vedi interventi in Afghanistan, Iraq e Siria) ed esclusi dal ruolo strategico. Una situazione che ha dell’incredibile che ha spinto solo ora il Pentagono ad avviare un programma, aggiudicato alla Northrop Grumman, per un nuovo bombardiere, il B-21; ma i primi velivoli voleranno nel 2025, ammesso (e non concesso) che non si registrino ritardi come di consueto.

Anche le aerocisterne (i Kc-135), indispensabili per il rifornimento aereo dei bombardieri, sono delle antichità contemporanee ai B-52, e l’ossatura missilistica – gli Icbm Minutemen III – è stata finanziata ai tempi di Kennedy, il Presidente che impostò la “triade” americana. Gli stessi sottomarini nucleari Ohio, su cui tanto si è basata la deterrenza Usa, risalgono nel migliore dei casi ad una tecnologia nata negli anni ’80 come i loro missili, i Trident II. Una situazione grottesca che ha fatto avviare un programma che li dovrà rimpiazzare nel prossimo decennio.

Il fatto è che, per sostituire i vecchi vettori ed i relativi supporti, i centri di produzione e stoccaggio delle 7.260 testate nucleari Usa, occorrerebbero, secondo tre diversi studi indipendenti, la bellezza di 1000 miliardi di dollari in trent’anni, e sempre ammesso (e non concesso affatto) che Pentagono, lobby industriali, Congresso e Governo riescano a mettersi d’accordo su un percorso razionale che eviti disastri (peraltro lucrosissimi) come quello del Jsf.

La spaventosa obsolescenza dell’arsenale nucleare Usa stride certamente con l’esasperazione tecnologica inseguita dal Pentagono in altri campi, ma è il frutto della consueta arroganza di chi si ritiene superiore a prescindere e degli interessi delle lobby industriali, che dirottano montagne di denaro su programmi giudicati più “interessanti”.

Il fatto è che mantenere un simile spaventoso potenziale di distruzione globale in tali condizioni di controllo quanto meno precario, determina incalcolabili rischi per l’intera umanità. Ma si sa, simili preoccupazioni non sono mai state in testa alle priorità dello Zio Sam.

Nel frattempo, la Russia sta ricostruendo il suo strumento strategico con razionalità: il missile Rs28-Sarmat (codice Nato SS-x-30), i sottomarini classe Borei o gli Oscar modificati con i sistemi missilistici d’avanguardia Status-6 sono già realtà in via d’acquisizione.

Piaccia o no a Washington, sfumate le pretese di superiorità globale successive al crollo dell’Urss, il mondo che si disegna è sempre più multipolare.

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