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L’Arabia Saudita apre all’Iran. Conciliazione o ammissione di sconfitta?

di Cristina Amoroso

Ha generato grande sorpresa il recente annuncio del ministro degli Esteri saudita, Saud al Faisal bin Abdulaziz, che nel corso di una conferenza stampa a Riyadh ha invitato nel regno saudita il suo omologo iraniano, Javad Zarif, “in qualsiasi momento ritenga opportuno venire”.

I media occidentali hanno interpretato l’annuncio come un’apertura amichevole del  governo saudita verso l’Iran. Così il Financial Times di Londra titola l’articolo di martedì, “L’Arabia Saudita si muove per alleviare le tensioni regionali con l’Iran”, una nuova era di conciliazione tra due Stati che si trovano sui lati opposti di una divisione religiosa regionale ampliatasi durante i disordini della “primavera araba”.

Per decenni, la Casa di Saud wahhabita, con le sue credenze religiose Takfiri estreme e il suo sistema monarchico repressivo, ha visto l’Iran sciita come il suo acerrimo nemico, da quando scoppiò la rivoluzione iraniana del 1979. L’Arabia Saudita, per esempio, ha finanziato il dittatore iracheno Saddam Hussein sostenuto dagli Usa per lanciare una guerra imposta contro l’Iran tra 1980 e il 1988, con l’obiettivo di distruggere la Rivoluzione iraniana. Quella guerra ha provocato più di un milione di morti. I governanti sauditi hanno sempre accusato l’Iran di fomentare trame segrete per destabilizzare il regno autocratico o dei suoi alleati arabi del Golfo Persico. Essi sostengono senza alcuna prova che sia la mano iraniana a suscitare disordini in Bahrain, Yemen e nelle province orientali ricche di petrolio del Regno stesso.

Ora si apre forse una nuova era di conciliazione in cui Mohammad Javad Zarif è il benvenuto, ogni volta che vuole per visitare la capitale Riyadh?

“L’Iran è un vicino, abbiamo rapporti con loro, e noi negozieremo con loro”, ha dichiarato Al-Faisal ai giornalisti. Si tratta di un marcato cambiamento di atteggiamento saudita? Alla fine dello scorso anno, a seguito dell’accordo nucleare tra l’Iran e i P5+1, la proposta del ministro degli esteri iraniano a visitare l’Arabia Saudita come parte di un tour negli Stati del Golfo Persico fu snobbato dalla Casa di Saud.

Allora, che cosa è cambiato? Sembra più probabile che il fallimento della guerra terroristica segreta, appoggiata dai sauditi  in Siria abbia spinto Riyadh a questo brusco cambiamento di atteggiamento.

Questa settimana vede l’inizio della fine delle operazioni di cambiamento occidentale e saudita in Siria. Quella guerra terroristica appoggiata dagli stranieri è in corso da più di tre anni, con un bilancio di morti stimato intorno ai 150mila. I governanti sauditi hanno speso miliardi di dollari di finanziamento ai gruppi estremisti Takfiri nel tentativo di rovesciare il governo di Bashar Assad, stretto alleato dell’Iran.

Intanto questa settimana, la roccaforte dei “ribelli”, la città vecchia di Homs, nella Siria centrale, è stata  ripresa dalle forze governative e migliaia di residenti sono stati in grado di tornare nelle loro case. Homs, la culla della cosiddetta “rivoluzione”, secondo i mezzi occidentali oggi è il cimitero della guerra terroristica sponsorizzata da Paesi stranieri.

Con la perdita di Homs strategica per i gruppi mercenari, l’esercito arabo siriano si appresta a riprendere le ultime aree occupate dai miliziani intorno alle città di Aleppo e di Idlib, mentre  i cittadini siriani stanno radunandosi in massa per sostenere il presidente uscente Assad, in vista delle elezioni presidenziali del 3 giugno, nelle quali Assad si aspetta di ottenere il  terzo mandato.

La Siria sta lentamente ma inesorabilmente emergendo dall’incubo in cui il Paese era immerso dal marzo 2011. Le scene di recupero vittorioso per la nazione siriana dissipano i miti occidentali di propaganda di una “rivolta democratica”. La riconquista di Homs, nel quadro di un accordo mediato dalla Russia e dall’Iran la scorsa settimana, precisa, inoltre, il miserabile fallimento del complotto saudita per distruggere la Siria, insieme con i suoi sponsor occidentali, la Turchia e Israele.

Ecco perché il ministro saudita parlava questa settimana come se stesse cercando di negoziare la resa con l’Iran, senza però pronunciare la parola “resa”, naturalmente, “Noi negozieremo con l’Iran”, ha dichiarato Al-Faisal, come se il semplice fatto di parlarne diplomaticamente fosse una grande concessione al nemico.

In altre parole, i governanti sauditi si stanno avvicinando all’Iran al di fuori di ogni autentico movente conciliante. Stanno disperatamente cercando di limitare i danni derivanti dalle loro guerre del terrore che hanno alimentato in Siria, Iraq, Yemen e Libano. Sperano che sia l’Iran ad aiutarli in qualche modo in questo processo di limitazione dei danni.

“La nostra speranza è che l’Iran diventi una parte dello sforzo per rendere la regione più sicura possibile”, ha aggiunto Al-Faisal, affermazione audace che implica l’Iran come Paese istigatore di violenza e di conflitto, quando sono stati i sauditi a scatenare il caos omicida in tutta la regione verso sciiti, sunniti, alawiti, armeni, cristiani e quanti con coraggio hanno fermato i modi del totalitarismo Takiri. E ora i sauditi vogliono che l’Iran “renda la regione più sicura possibile”.

L’arrogante Casa di Saud ha la pretesa di realizzare il principio in base al quale coloro che sono sconfitti sono nella posizione di dettare condizioni, e soprattutto quando i vinti sono colpevoli di enormi crimini contro l’umanità.

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