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La stanca Europa cede il passo ai nuovi equilibri Euroasiatici

di Federico Cenci

Il prossimo 21 dicembre, durante il summit che si terrà a Bruxelles tra Unione europea e Russia al quale presenzierà Vladimir Putin, sarà inevitabile affrontare temi pungenti. Negli ultimi mesi, del resto, i rapporti tra Bruxelles e Mosca non sembrano affatto essersi distesi, anzi.

Se la scelta del Parlamento europeo di includere le Pussy Riot tra le finaliste di un premio per la libertà d’espressione non ha suscitato reazioni ufficiali da parte del Cremlino, quella della Commissione europea di aprire un’inchiesta sulla compagnia energetica russa Gazprom – accusata di porre ostacoli alla concorrenza in otto Stati dell’Unione europea – ha provocato l’ira di Putin. Il presidente russo si è detto pubblicamente dispiaciuto per l’accaduto, classificando quello della Commissione europea come “un approccio non costruttivo”.

Più di recente, poi, è tornata d’attualità tra Unione europea e Russia la controversia ribattezzata “guerra dei visti”. Anzar Azimov, inviato speciale del ministro degli Esteri russo, ha avvertito: “Se non ci saranno progressi nella redazione di un accordo di libera circolazione, entro la fine del 2012, la Russia ne tirerà le conclusioni. Noi siamo pronti ad armarci di pazienza ancora per un anno”. Azimov, evidentemente portavoce di un’insofferenza diffusa nei piani alti del Cremlino, ha chiesto all’Unione europea “un dialogo da pari a pari”.

Se questa richiesta da parte russa di un dialogo fondato sul reciproco rispetto non dovesse venire accolta da Bruxelles, tuttavia, Mosca se ne farà una ragione, virando esclusivamente su progetti ambiziosi che escludono il coinvolgimento dell’Unione europea. Importanti passi in questa direzione sono già stati mossi. È stato stabilito dallo stesso presidente Putin, infatti, che entro l’anno 2015 sarà definito e firmato il trattato per la fondazione della nuova Unione Eurasiatica, con lo scopo di reintegrare i Paesi dell’ex Unione Sovietica e creare un polo politico ed economico destinato ad affermarsi con successo su scala globale.

L’edificazione dell’Unione Eurasiatica è un progetto avviato. Fra i mattoni già posati ci sono la Comunità economica eurasiatica, fondata nel 2000 da Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, l’Unione doganale, attiva dal luglio 2011 tra Russia, Bielorussia e Kazakistan, e lo Spazio economico comune, funzionante dal gennaio 2012, che vede coinvolti ancora una volta Russia, Bielorussia e Kazakistan. L’integrazione, al momento, sembra investire soltanto il settore economico e commerciale, ma la prospettiva – come ribadito dallo stesso Putin – è quella di estenderne le funzioni su altri ambiti politici. Gli analisti condividono l’opinione che una completa realizzazione di questo progetto accrescerebbe in maniera esponenziale il potere contrattuale dei Paesi che ne entrerebbero a far parte.

Mentre l’Unione europea, dunque, volta le spalle ad Est, attorcigliandosi su se stessa nella disperata ricerca di una chimerica via d’uscita dal labirinto recessivo in cui le politiche liberiste imposte da Wall Street e alta finanza l’hanno cacciata, la Russia solca la via alternativa al baratro. Una via che prende forma, inevitabilmente, passando per le trasformazioni geopolitiche in atto. Se l’Unione europea non se ne fosse ancora accorta, infatti, dall’emergere di nuove aggregazioni scaturisce il canto del cigno del vecchio mondo unipolare nordamericano. Quel mondo plasmato dai mercati a cui Bruxelles scelse di aderire pedissequamente, ingannando così le reali istanze politiche, sovrane dei popoli europei. Istanze che Mosca, oggi, è in grado di raccogliere.

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