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La rivoluzione di Rojava e il nuovo modello di “autonomia democratica”

di Cristina Amoroso

Il 3 febbraio la comunità curda residente in Europa ha iniziato una marcia da Francoforte, Berna e Lussemburgo che confluirà a Strasburgo per denunciare il complotto internazionale ordito intorno  al leader curdo Abdullah Ocalan, in carcere da sedici anni. Dopo avere consegnato un dossier alla Corte di Giustizia Europea con la richiesta di annullare l’etichetta di terrorista al Pkk, il gruppo formato da cento persone dopo la marcia di 14 giorni consegnerà al Consiglio d’Europa cinque milioni di firme raccolte per la libertà di Ocalan.

Non si può dire che gli Stati europei, che hanno etichettato il Pkk come “terrorista” insieme agli Stati Uniti e alla Turchia, abbiano manifestato grande solidarietà con il popolo curdo o abbiano una visione positiva del Kurdistan, una delle più grandi nazioni senza Stato di tutto il mondo, che ha 40 milioni di abitanti distribuiti su una superficie di 450 milioni di  chilometri quadrati di quattro stati (Turchia, Iraq, Siria e Iran). L’Italia  con i 30mila curdi che vivono nel Paese, si trova in prima linea nella solidarietà con il Kurdistan, rispetto alla Germania, dove vive circa un milione di curdi, alla Francia dove vivono 300mila curdi, alla Spagna con i suoi 1.500 curdi.

Solo dopo che la città di Kobani è stata liberata dal cosiddetto Stato Islamico, dopo 135 giorni di epica e incredibile resistenza, i media di Stato europei hanno prestato maggiore attenzione al problema curdo. Solo dopo che le donne e gli uomini, issate le bandiere sulle ultime colline che erano state occupate dall’Is, hanno iniziato le loro danze in fila, accompagnate da vecchie canzoni rivoluzionarie curde e slogan, la gente di tutto il mondo ha mostrato solidarietà.

Ma quello che i media di Stato europei non ci hanno raccontato sono fatti risalenti ad un anno fa, che possono farci capire perché Kobani non è caduta. Allora era in atto un vera rivoluzione. La Rivoluzione di Rojava.

Nel gennaio 2014, quando i grandi attori internazionali erano riuniti presso la cosiddetta conferenza di Ginevra-II per discutere una risoluzione per la guerra in Siria, non furono invitati i curdi, che pure avevano combattuto sia gli estremisti come il Fronte al-Nusra sia l’Isis dopo aver preso il controllo su Rojava nel 2012.

Nel tranquillizzare lo Stato turco, la comunità internazionale ha adottato un atteggiamento esplicitamente ostile verso Rojava, perché gli attori principali della regione sono ideologicamente affiliati con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), acerrimo nemico dello Stato turco, appunto etichettato come “terrorista” dagli Stati Uniti, Unione europea (Ue) e Turchia. Funzionari statali turchi avevano ripetutamente sottolineato che “non avrebbero tollerato i terroristi al confine siriano-turco”, riferendosi ai curdi in Rojava.

Eppure, senza fare affidamento sull’approvazione di nessuno, e nonostante tutta questa ostilità, la gente di Rojava ha dichiarato tre cantoni autonomi nello stesso tempo della conferenza di Ginevra-II: Kobanî, Afrin e Cizîre, con l’evidente messaggio: “Noi costruiremo la nostra autonomia e non abbiamo bisogno dell’approvazione di nessuno”.

La tappa più importante della rivoluzione di Rojava è la Costituzione di Rojava, il “Contratto sociale”, creato e accettato dall’Assemblea Legislativa dell’Amministrazione dell’Autonomia Democratica di Rojava il 6 gennaio 2014 nella città di Amudè, in Rojava, un’alternativa per la regione, lacerata da odio etnico e religioso, da guerre ingiuste e da sfruttamento economico. Non ha lo scopo di costruire un nuovo Stato, ma di creare un sistema alternativo al capitalismo globale, sostenendo l’autonomia regionale, attraverso la liberazione delle donne e in collaborazione con tutti i popoli della regione, definito come “Confederalismo Democratico” di Öcalan.

La vittoria e la dignità di Kobanî dovrebbe dare speranza a tutti i popoli del Medio Oriente e non solo. Il loro tentativo di stabilire una società in cui tutte le etnie e religioni possono vivere in via amichevole e cooperativo una accanto all’altra, è profondamente progressista. Curda è la comunità di maggioranza in Rojava, ma molti altri gruppi etnici e religiosi  fanno parte di questa liberazione sperimentale (arabi, assiri, cristiani, turcomanni). In questo senso, Rojava è un modello per tutto il Medio Oriente.

Così anche lo sono i loro sforzi per l’empowerment delle donne. Almeno un terzo delle forze di difesa di Rojava sono donne. Sono in prima linea e nel comando. Molte donne sono morte dopo aver resistito eroicamente fino alla fine. Tali esempi stanno liberando le donne dai tabù sociali e feudali, dai valori patriarcali della società. Anche Rojava ha mostrato una grande campagna in corso contro la violenza domestica.

La realtà sta nel fatto che la resistenza di Kobanî si basa su una tradizione radicata e non dal nulla. I combattenti sottolineano che è la filosofia del Pkk che motiva la loro lotta. Dopo aver liberato Kobanî, i combattenti immediatamente hanno cantato “Biji Serok Apo” – Viva Apo (Abdullah Öcalan). In altre parole, i più forti nemici dello Stato Islamico sono etichettati a livello internazionale come “terroristi”, proprio come gli  stupratori, assassini, tagliagole dell’Is.

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