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La pressione economica frena Putin

di Salvo Ardizzone

Nel mondo c’è apprensione per la tensione fra Russia e vasta parte dell’Occidente, e timore che possa salire ancora fino a divenire incontrollabile. Putin fa muovere truppe e mostra indifferenza ai moniti e agli appelli che gli vengono da mezzo mondo, ma come abbiamo accennato in altra sede, c’è un argomento che, presa la Crimea, lo frena dal compiere altri passi, a meno di sviluppi inaspettati: semplificando brutalmente, i soldi.

Aveva previsto che l’annessione della Crimea sarebbe stata un pessimo affare, come gli aveva detto chiaro Aleksej Kudrin, il suo consigliere economico, ma il conto si sta rivelando assai più salato.

L’economia russa da anni perde colpi di suo, scendendo dal +4,3 del 2011 al +1,4 del 2013 malgrado ben diverse attese, e facendo dire ad Alexei Ulynkayev, Ministro dello Sviluppo Economico, che “il ritmo della crescita è assolutamente insoddisfacente”; pesano gli scarsi investimenti e le enormi spese in armamenti (69 mld di $ nel 2013) e in opere faraoniche (Sochi su tutte è costata oltre 50 mld), mentre le infrastrutture vanno in malora.

Già nel 2013 63 mld di $ sono volati all’estero, ma nei primi tre mesi del 2014 ne sono andati via altri 70, un ritmo che il Paese non può assolutamente sopportare, e che aumenterebbe vertiginosamente se la crisi s’aggravasse. Il rublo, infatti, da quando è iniziata è sprofondato dell’11% sul dollaro (il cambio era a 45 ora è già a 50), malgrado la Banca Centrale abbia sacrificato miliardi su miliardi per sostenerlo, e dietro lui è venuta giù la Borsa.

Le banche e le grandi aziende sono indebitate in dollari (che valendo sempre di più aumentano il debito), al momento sarebbero 653 mld: 438 per le aziende, con Gazprom, Rosneft, Transneft e le Ferrovie in testa e altri 215 per le banche. Con 100 mld in scadenza entro l’anno, e la situazione generale, è divenuto terribilmente difficile trovare soldi per gli investimenti necessari nell’Artico e per lo “shale gas”, e completare la rete di gasdotti (ma anche solo per tirare avanti e restituire i debiti).

Ormai è un coro generale fra aziende che rinviano le quotazioni già pronte sulle piazze finanziarie all’estero, annullano progetti strategici già programmati e, appena possono, trasferiscono utili e riserve in Occidente. I primi sono gli Oligarchi: già coinvolti pesantemente nell’evento di Sochi e non intendendo ripetersi per la Crimea, si stanno sfilando alla grande da spese che finirebbero per debilitare le loro strutture finanziarie. Già, la Crimea, che da sola costerà almeno tre mld di $ all’anno in aiuti. Certo, c’è il petrolio e il gas, ma i consumi son calati e in Occidente le scorte son quasi al massimo, e se si considera che siamo ormai in primavera…

Il fatto è che Putin ha fatto della Russia una sorta di petrostato, in tutto basato sugli idrocarburi, ma 200 milioni di abitanti non possono reggersi solo su questo, in assenza di investimenti su gli altri comparti. Kudrin aveva preventivato una fuga di 50 mld nei primi tre mesi e circa 200 nell’intero anno, facendo sobbalzare il Presidente; la realtà è ora assai più pesante, a fine anno sarebbero assai, troppi di più.

D’altro canto Putin sa che il ricatto energetico farebbe male all’Occidente, ma farebbe crollare di botto la Russia, tagliando ora il flusso che l’alimenta di valuta. È un fatto. Con una stima di crescita per quest’anno al lumicino non è tempo d’azzardi per chi ha un patrimonio stimato (per quanto è stato possibile fare) in circa 40 mld di $, ed è circondato da Oligarchi che hanno il denaro come unico scopo e legge.

Certo, non potrà fare marcia indietro bruscamente, non è quello l’uomo, ma se i sistemi occidentali, come già pensano di fare, aumenteranno la pressione economica in generale e sui patrimoni immensi di chi gli sta intorno (e sono tutti fuori dalla Russia), a meno di incidenti imprevedibili, la tensione è destinata a calare. Ci brucia dirlo, ma più che mai è ancora il denaro che condiziona i destini degli Stati.

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