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Crisi ucraina alla luce degli sviluppi in Medio Oriente

Le stragi dello “Stato islamico” potrebbero sortire il risultato di ribaltare la posizione europea nella crisi ucraina.

Sotto la spinta degli eventi, e con le elezioni regionali alle porte, Parigi ha cercato un’alleanza con Mosca per operare in Siria, trovandola immediatamente; adesso Rafale francesi e Sukhoy russi sganciano bombe sui seguaci del “califfo” in stretto coordinamento, mentre l’Fsb e il Dgse si scambiano informazioni sui terroristi.

In questo clima appare dubbio che la Francia, protagonista degli accordi di Minsk, si faccia come in passato arcigna sostenitrice della contrapposizione con la Russia e voglia sostenere il pieno mantenimento delle sanzioni.

Quella che pare delinearsi è piuttosto una collaborazione che, in nome della guerra al terrorismo, superi progressivamente la recente crisi e s’allarghi a tutti quegli Stati che la frattura con Mosca l’hanno subita per sudditanza e non per interesse o convinzione. E neanche l’Amministrazione Usa è in questo momento nella condizione di ostacolare troppo il processo, dopo aver lodato la posizione costruttiva del Cremlino nella Conferenza di Vienna sul futuro della Siria e il suo impegno reale contro il terrorismo. E poi, visto lo sviluppo degli eventi, Obama ha bisogno di Putin per non rimaner tagliato fuori dal Medio Oriente.

Chi resta col cerino in mano, in una posizione assai scomoda, è Poroshenko: con lui rimangono gli irriducibili Paesi dell’Est Europa, riuniti nel Gruppo di Visegrad dal viscerale quanto anacronistico revanscismo contro la Russia, e ambienti del Pentagono che vedono nella contrapposizione con Mosca il revival del loro potere, con l’eterno nemico a Est da contenere.

Il Presidente ucraino e il suo Governo sono comunque in netta difficoltà: le elezioni locali hanno segnato una sconfitta per il blocco di potere che li sostiene, con Odessa, Kharkiv, Zaporizha in mano agli eredi del Partito delle Nazioni vicino a Mosca, mentre a Dnipropetrovsk ha vinto un oligarca nemico personale di Poroshenko.

Oppositori ed oligarchi hanno avuto facile gioco in una situazione mai così disastrosa; nulla è cambiato nella sostanza dai tempi del corrotto Janukovyc, semmai le cose sono peggiorate: i potentati controllano l’economia ancor più di prima, la corruzione è rimasta altissima, pensioni e stipendi (per chi ce l’ha) vengono falcidiati dall’inflazione, la disoccupazione s’allarga a dismisura e, con le casse vuote, le tariffe dei servizi essenziali sono divenute proibitive. Né è possibile aspettarsi aiuto da altrove; malgrado le promesse, a Bruxelles nessuno ha la minima intenzione di caricarsi un salvataggio impossibile dai costi stratosferici.

In questo scenario, per tentare di sopravvivere Poroshenko dovrà negoziare con oligarchi e potentati locali, svendendo il poco che è rimasto di un’economia al fallimento.

Nel frattempo, e sempre che il Governo non cada nelle prossime settimane, il Parlamento non potrà procrastinare ancora la decentralizzazione amministrativa (invocata a gran voce dai potentati locali, che così potranno procedere più comodamente alla spoliazione della cosa pubblica, sottraendo risorse al Governo centrale) e l’auto-governo dei territori dell’Est, peraltro previsto dai tanto invocati accordi di Minsk.

In una simile situazione, a Putin basta attendere che l’Esecutivo pilotato da Washington imploda insieme ad un Paese ormai allo sbando; per lui sarà sufficente intervenire il giusto necessario per controllare la situazione, senza doversene accollare il peso. Per questo ha recentemente accettato di rinegoziare un debito da 3 Mld di dollari che Kiev aveva verso Mosca.

Con tutta probabilità sarà il tempo (e neppure tanto) a fare giustizia delle cospirazioni di Washington e delle isterie della “Nuova Europa” (leggi Gruppo di Visegrad & C.).

di Salvo Ardizzone

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