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Italia: alle elezioni amministrative crollano i partiti tradizionali

di Salvo Ardizzone

Alle elezioni amministrative la protesta degli elettori ha investito il Pd, scuotendo un partito che ha retto a stento anche nelle sue tradizionali roccaforti: tranne che a Cagliari, dove il sindaco uscente s’è aggiudicato la partita per un soffio al primo turno, nei nove capoluoghi di regione i candidati di Renzi sono stati costretti ovunque al ballottaggio; a Napoli la Valente né è stata addirittura esclusa.

Ma sono i mediocri risultati a rendere più oscuri i pronostici: a Milano, Sala è riuscito a staccare Parisi per meno d’un punto; a Roma, Giachetti arranca a dieci punti larghi dalla Raggi; a Torino, Fassino ha tutt’altro che brillato e così via. Scandali, faide interne e inconcludenza politica hanno travolto le stucchevoli favole renziane e, malgrado gli apparati di potere, stanno incrinando profondamente la tenuta di (s)governi locali da molto tempo divenuti satrapie.

La rabbia sempre più forte ha avuto ragione della nausea del voto, arrestando l’emorragia degli elettori che, sia pur di poco, sono aumentati; ma non c’è traccia delle aspettative (deluse tutte) che a lungo hanno accompagnato la stagione dei sindaci negli anni passati.

Da allora c’è stata la peggiore crisi mai conosciuta dal Paese, che ha falcidiato l’occupazione, fatto esplodere povertà e diseguaglianze e bruciato una generazione di giovani mentre una politica inetta (tutta!) ha continuato a baloccarsi fra riti vuoti, inconcludenza, dilettantismo e malaffare.

In un simile quadro, immutabile qualunque casacca indossi il politico di turno, l’elettore non conta e non decide nulla: ogni scelta importante passa sulla sua testa, determinata da lobby, burocrazie nazionali o europee, finanza internazionale, etc.; poteri forti insomma che si beffano di lui e delle sue illusioni ingrassando alle sue spalle.

A lui resta soltanto disgusto e rabbia, e con rabbia vota affidandosi al “fenomeno” di turno a prescindere da idee e da valori seri, senza dei quali è solo facile demagogia.

Al di là dei singoli risultati, è per Renzi e la sua narrazione bugiarda che suona la campana: prende corpo l’incubo di un attacco concentrico al suo potere strabordante da parte dei suoi tanti nemici. Per ora una semplice spallata cui ha retto a stento, ma avvisaglia della mazzata che potrebbe travolgerlo a ottobre col referendum.

In realtà, nessuno dei partiti tradizionali esce bene dalle urne; il centrodestra frantumato e la sinistra (il Pd non lo è) ininfluente. Restano i 5 Stelle a festeggiare sulle macerie di un sistema, spinti dalla rabbia della gente: un’ultima spiaggia su cui urlare la propria indignazione.

D’accordo, ma, piaccia o no, non si governa un Paese in profonda crisi con il populismo, con gli slogan, con il dilettantismo eretto valore. Serve solo a prenotare un fallimento destinato a scaricare le ultime energie della gente in una protesta vuota, fine a se stessa.

Serve una consapevolezza che non c’è e che ben pochi (pochissimi) si preoccupano di costruire.

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