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Israele e Facebook: occupazione 2.0

Lo Stato di Israele ha messo a punto una nuova forma di repressione del popolo palestinese. Facebook ha accettato di collaborare con il governo israeliano per monitorare e censurare i contenuti ritenuti inadeguati. L’occupazione non si limiterà più al territorio, alla cultura, all’identità palestinese ma varcherà la soglia del virtuale. L’annuncio è stato dato in seguito a un incontro tra i ministri dello stato ebraico e alti funzionari del colosso mondiale dei social network.facebook-e-israele

Facebook e l’istigazione all’odio

L’accordo di cooperazione è stato motivato con la necessità di frenare l’estremismo online e di rispettare gli standard comunitari contro il terrorismo. Peccato che proprio questo social pulluli di profili e pagine ad alto contenuto razzista o che inneggiano al fascismo come “Io sono fascista”, senza che questo comporti alcun tipo di censura. Non solo, in seguito al rapimento dei tre giovani israeliani nel 2014 è stata cerata una pagina (עד שהנערים חוזרים – בכל שעה במחבל יורים rimossa dopo numerose segnalazioni da parte degli utenti) che esortava a uccidere quanti più musulmani possibile.

Dov’erano i censori allora? Il vero motivo alla base di questo accordo è la necessità di Israele di limitare al massimo le informazioni che provengono dai territori palestinesi occupati. Informazioni che negli ultimi anni si sono moltiplicate a dismisura, mostrando una realtà diversa da quella dei media mainstream.

Altra motivazione è la lotta del governo israeliano contro il BDS, il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele nato nel 2005.

La censura è l’arma più efficace contro il BDS

Il successo globale delle azioni di boicottaggio promosse dal BDS ha spinto il governo Netanyahu ad approvare una legge che consente di spiare e deportare gli attivisti stranieri che opera in Israele e Palestina. Il BDS, così come la maggior parte degli odierni movimenti di resistenza, deve gran parte della sua capillarità e incisività proprio ai social network. Negli ultimi mesi, inoltre, sono diversi i palestinesi arrestati a causa di post su Facebook. Secondo Gilad Erdan, ministro israeliano della Pubblica Sicurezza, Facebook ha la responsabilità dei contenuti che vengono veicolati tramite la piattaforma e dei conseguenti attacchi che potrebbero verificarsi. Stessa cosa non vale per i contenuti, altrettanto numerosi, contro i palestinesi o i musulmani in generale.

Il fatto che una società privata collabori con un governo per censurarne gli oppositori, rappresenta un pericoloso precedente che potrebbe mutare per sempre la natura democratica del web.

Precedente da cui potrebbe essere difficile tornare indietro.

di Irene Masala

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