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Iran potenza regionale, Paesi del Golfo pronti a collaborare

di Salvo Ardizzone

I progressi delle trattative fra il 5+1 e l’Iran sono viste ovviamente come il fumo negli occhi dall’Arabia Saudita, Israele e dalle lobby e centri di potere da loro controllate, che stanno tentando di tutto per sabotarle, tuttavia, nella stessa area del Golfo, sono sempre più forti le pressioni (e gli interessi) perché si giunga ad una revoca delle sanzioni e a una normalizzazione dei rapporti (piaccia o no a Riyadh e Tel Aviv).

Il fatto è che una collaborazione fra gli Stati del Golfo (Arabia esclusa) e l’Iran è nella forza delle cose e la combinazione di capitali, potenzialità commerciali, materie prime e mano d’opera (queste ultime essenzialmente iraniane) porterebbe enormi convenienze, che spingono irresistibilmente molti degli attori dell’area verso la normalizzazione. In particolare sono Oman, Qatar ed Emirati che, anticipando gli eventi, stringono relazioni e siglano accordi. 

L’Oman firma impegni per la costruzione d’un gasdotto sottomarino che porti fino a lui il gas dell’Iran e da lì in India, uno dei mercati di maggior consumo energetico del futuro; e poi accordi per massicci investimenti iraniani nelle infrastrutture dell’Oman, trasferimenti di know-how e forniture per circa la metà del fabbisogno di gas naturale del Paese arabico. Un programma che rafforza le già buone relazioni fra le due Nazioni, comprovate nel novembre scorso, quando il sultanato ha avuto un ruolo chiave nella svolta sui negoziati per il nucleare, facilitando ed ospitando la fase iniziale dei colloqui segreti fra Iran e Usa.

Il Qatar, già nel dicembre scorso, ha offerto la collaborazione per lo sfruttamento congiunto di “South Pars”, un gigantesco giacimento di gas sotto le acque del Golfo; un’apertura accolta e rilanciata dall’Iran con ulteriori proposte di cooperazione. E poi l’affare più interessante: affiancarsi a Dubai nel ruolo di hub commerciale di Teheran e nel frattempo importare dall’Iran le materie indispensabili al suo sviluppo (materiali edili, minerari e alimentari).

Dubai, da parte sua, è lo storico ponte fra Iran e Occidente; malgrado le sanzioni (e le asfissianti pressioni di Riyadh) gli Emirati sono a tutt’ora il primo Paese da cui Teheran importa (20% del totale). Lì risiedono circa 400mila iraniani e vi hanno sede 8mila aziende che fanno capo al loro Paese; grazie agli ottimi servizi bancari e finanziari (ed alla reciproca convenienza), le due economie sono strettamente collegate. Ora, anzi, già dall’aprile scorso, le due Nazioni hanno deciso di creare un Joint Business Council per mettere insieme capitali, know-how, materie prime e forza lavoro, ed aggredire insieme il mercato internazionale.

È una prospettiva talmente interessante da spingere il primo ministro del Dubai, a dichiarare alla Bbc che la totale revoca delle sanzioni andrebbe a beneficio di tutti; una bestemmia che fa fremere i Sauditi ma diretta al Governo Federale di Abu Dhabi, per smuoverlo definitivamente dalle sue esitazioni. Teheran, dal canto suo, ha già pensato a come risolvere il principale motivo di attrito: il controllo di tre isolette negli stretti di Hormuz, occupate nel ’71 e da allora reclamate dagli Emirati; ne cederebbe due, mantenendo la terza, Abu Mussa, ove ha una base navale di estrema rilevanza per la sua sicurezza. Disinnescando la questione, cadrebbe anche l’ultimo fattore formale che si oppone ad una completa distensione e lascerebbe Riyadh sola ad osteggiare Teheran.

Come si vede, malgrado la rabbia e la pressione dei Sauditi, gli attori del Golfo hanno troppo da guadagnare a collaborare con Teheran; inoltre, sono tutti consapevoli che il peso politico dell’Iran è indispensabile per chiudere le troppe crisi aperte nell’area dal cinismo e dall’irresponsabilità di chi ha pensato di distruggere tutta la regione pur di affermare il proprio potere su una distesa di macerie e morte (leggi ancora la casa di Sahud ed Israele).

Avvisaglia di questo orientamento sono stati gli incontri che Amir-Abdollahian, vice ministro degli Esteri iraniano, ha avuto ai più alti livelli in Kuwait, Oman ed Emirati, in merito alla violenza settaria e al terrorismo che insanguinano l’area. A parte le pubbliche dichiarazioni di comunanza di vedute, è il semplice fatto che quegli incontri su temi così scottanti si siano tenuti ad essere una novità che la dice lunga sulla direzione verso cui si stanno muovendo le cose (con buona pace di chi tenta l’impossibile per fermarle).   

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