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In Francia vince il populismo della Le Pen

di Salvo Ardizzone

Come largamente annunciato dai sondaggi, il primo turno delle elezioni regionali in Francia è stato un trionfo per il Front National, che ha raccolto il 28% complessivo dei voti, divenendo il primo partito del Paese; il “rassemblement” delle destre di Sarkozy è giunto secondo sfiorando il 27%; in caduta libera e terzi i socialisti che hanno appena superato il 23%; briciole ai Verdi e al Front de Gauche.

È stato anche un successo personale per Marine Le Pen che, nella regione settentrionale del Pas de Calais-Picardie a lungo feudo delle sinistre, ha raggiunto il 42%. Un successo doppiato dalla nipote Marion nel Sud, in Provence-Alpes-Cote d’Azur. Nel complesso il Front è in testa in 6 regioni su 13.

Naturalmente si dovranno attendere i ballottaggi di domenica prossima, quando molti elettori socialisti o del centrodestra convergeranno per sbarrare la strada al candidato frontista, ma, in ogni caso, Le Pen conquisterà almeno tre regioni: quelle in cui s’è candidata lei e la nipote, a cui s’aggiungerà l’Alsazia-Lorena con il n. 2 del partito Florian Philippot.

Un disastro totale per i socialisti, che prima dell’attuale accorpamento delle regioni ne governavano 21 su 22, e che scontano ora le politiche contraddittorie quanto inconcludenti con cui hanno affrontato un malessere reale troppo a lungo sottovalutato. A nulla è valsa la reazione “muscolare” di Hollande dopo gli attentati del 13 novembre, che lo ha fatto risalire nel gradimento della gente ma che non s’è tradotta in voti. Adesso si apre una resa dei conti nel partito che minaccia di frantumarlo a tutto vantaggio di Sarkozy.

Sono in molti a dire che le stragi dei terroristi hanno messo le ali al Font National, ma la mattanza di Parigi ha solo reso trionfale un successo che era già scritto, e che monta di votazione in votazione grazie a una miscela di cause trascurate, prime fra tutte la perdita d’identità e di radici culturali e il declino economico del sistema produttivo.

Ad aggravare questo clima di smarrimento e precarietà s’è inserita la paura della gente. Marine Le Pen ha avuto buon gioco ad additare come cause della crisi gli immigrati, Bruxelles e una classe politica lontana che non ha compreso la profondità del problema. Puntando sulla paura e sullo scontento, additando le burocrazie lontane e i maghrebini delle strade come nemici, ha raccolto una massa crescente di consensi, ma dietro alla litania di slogan populisti c’è il nulla: non una proposta seria, non un progetto, e non potrebbe essere diverso.

Il Front, per come lo ha trasformato Marine, è una macchina di propaganda fatta per accogliere scontenti a prescindere, basta vedere le macroscopiche differenze fra i suoi discorsi che s’atteggiano a laici e per l’aborto, e quelli della nipote Marion, un’ultra integralista con posizioni “vandeane”.

È il frutto dell’ennesima operazione di potere, come tante se ne sono viste e se ne vedranno, per intercettare il reale disagio della gente, ma non ha né un progetto coerente, né tantomeno organici valori condivisi. È lo sgabello per l’ambizione di una leader e di un gruppo che ambisce ad occupare la stanza dei bottoni.

In tutto questo il Popolo, tanto invocato quanto usato, può attendere.

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