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Finmeccanica e la crisi tra Italia e India

La crisi nei rapporti fra Italia e India, non nasce solo dalla squallida vicenda dei due marò di cui abbiamo già parlato e che, come previsto, se una qualche conclusione potrà avere, sarà a luglio, dopo le elezioni. A quella vicenda se ne intreccia un’altra, tenuta più discreta ma che ha punto sul vivo la politica e i potenti di New Delhi: quella delle tangenti pagate da Finmeccanica per la vendita di 12 elicotteri Aw 101. È una storia saltata fuori in Italia nell’ambito delle tante inchieste che hanno visto al centro il colosso della difesa; ha portato i giudici a indagare sui rapporti dell’azienda coi vertici militari e politici indiani, e ha avuto per conseguenza, a parte inviperite reazioni, il congelamento di quel contratto ma non solo.

Col tempo era parso che la vicenda si fosse stemperata, ma, all’improvviso, il Ministro della Difesa indiano Antony, in accordo con quello della Giustizia Sibal, ha deciso di mettere al bando tutte le aziende del gruppo Finmeccanica da Defexpo 2014, tenutasi a New Delhi fra il 6 e il 9 febbraio, la manifestazione internazionale che vede riunite le aziende del pianeta Difesa. Per sovrappiù, la decisione è stata annunciata pochi giorni prima dell’evento, quando era già stata pagata la quota di partecipazione e allestiti gli spazi.

Insomma uno schiaffo. Sottintende che sono rimesse in discussione tutte le collaborazioni, le commesse e le joint venture in corso per un controvalore stimato dalla stampa locale fra i 5 e i 7 mld di $, per la gioia dei concorrenti esteri che si vedono di nuovo in corsa per le forniture, e la costernazione di molte aziende indiane, che, attirate dall’ottimo know how italiano, avevano stretto rapporti con la galassia di Finmeccanica, come Data Patners Group, Tata Sons, Mahindra & Mahindra, Bharat Dinamics Ltd per citarne alcune.

Il fatto è che la corruzione è endemica e diffusissima in India, e il sistema d’approvvigionamento quanto di più irrazionale si possa immaginare (anche per noi in Italia, v’assicuriamo), capace di moltiplicare immensamente le possibilità di corruzione ad ognuno degli infiniti passaggi per giungere alla sigla d’un contratto. Lo dice Bharat Verna, Direttore di un’autorevole rivista del settore: ”Abbiamo creato noi stessi un sistema viziato, che spinge le aziende a pagare tangenti, tanto più che i politici o dirigenti condannati per corruzione sono molto rari”.

A dicembre scorso il parlamento indiano ha approvato una legge anticorruzione, istituendo un apposito organismo; “il risultato”, per dirla sempre con Verna, “è stato che nessuno vuol più prendere decisioni”; se a questo s’aggiunge la leggendaria quanto esasperante lentezza dell’Amministrazione indiana, la conclusione è la paralisi assoluta. E parliamo d’investimenti per miliardi di dollari, di cui l’India stessa dice d’aver bisogno per le proprie esigenze di sicurezza.

Intendiamoci: i prodotti italiani erano e sono ottimi; risultati alla mano, nel corso delle interminabili prove e selezioni avevano surclassato la concorrenza, e se le aziende hanno mollato stecche (come tutte, ma proprio tutte le altre) è stato per evitare che ciò malgrado si rimettesse tutto in discussione, ma tant’è. Il guaio è grosso e solo il tempo dirà se potrà essere superato e a quali costi.

Ma quello dei rapporti con l’Amministrazione indiana, è un problema che tocca tutti coloro che provano a fare business in qual Paese, come hanno sperimentato praticamente tutti: Rheinmetall, Imi, Mbda e la francese Dassault Aviation solo per citarne alcuni. Quest’ultima ha in ballo un mega contratto di 12 mld di $ per la fornitura di 126 Rafale (aerei da combattimento), più altri 12 mld per il supporto, e si vede continuamente cambiare le carte in tavola in un gioco estenuante e senza fine, che si protrae di anno in anno. Come diceva un negoziatore del Team Rafale, “gli indiani pretendono di fare tutto, ma senza assumersi alcuna responsabilità”. In poche parole e semplificando al massimo, pretendono per esempio che le proprie aziende vengano massicciamente coinvolte nella costruzione in India di quanto acquistato, ma senza che le stesse ne abbiano esperienza, e lasciando la responsabilità di qualità e tempi su chi vende; così errori e costi si dilatano, ma senza mai che qualcuno a Delhi ne risponda.

Per concludere, l’India si definisce “la più grande democrazia del mondo” ed ha notevoli velleità di potenza regionale, volendosi confrontare da una parte col Pakistan, e vabbé, ma dall’altra addirittura con la Cina, con cui si fronteggia nell’estremo Nord Est del Paese, rivendicato da Pechino (è dell’aprile del 2013 l’ultimo pesante sconfinamento dei cinesi). Da come stanno le cose, tuttavia, crediamo che fra le sue aspirazioni e la realtà ne corra ancora tanto.

A breve ci saranno le elezioni, e l’opposizione nazionalista (che è in netto vantaggio nei sondaggi) pesta forte sul tasto del nazionalismo per non misurarsi con i problemi veri (che sono davvero tanti); speriamo che la sua vittoria non distolga una nazione immensa dal cammino di faticoso sviluppo di cui ha enorme bisogno.

di Salvo Ardizzone

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