Palestina

Il “per sempre” di Obama ad Israele, per un matrimonio di “copertura”

Quando si parla di interessi c’è sempre un rapporto di scambio e reciproca intesa tra le due parti della stessa medaglia. E di medaglie gli Stati Uniti ed Israele ne hanno ricevute anche abbastanza: Nobel per la “pace”, riconoscimenti istituzionali, grandi discorsi che, tramite una disponibilissima informazione, arrivano nella case di tutte le famiglie del mondo. Messaggi di pace e di cordialità simili a quello pronunciato da Barack Obama il 18 Marzo, due giorni prima del Nowruz, il capodanno persiano, per rivolgere i suoi auguri all’Iran e nello stesso momento per mostrare la sua preoccupazione riguardo la politica nucleare iraniana, una “minaccia” che la grande potenza mondiale americana vorrebbe fermare.

Gli Usa così, non ponendo sotto i riflettori le migliaia di basi militari e bombe nucleari sparse nel mondo per garantire un controllo più sicuro e sofisticato al potente Pentagono, riescono a giustificare una missione degna di quella bandiera che mai può mancare nella casa di un americano: la lotta al terrorismo attraverso l’esportazione del proprio modello di democrazia. E poco importa se tale esportazione esige la forza di una bomba, l’avanzata tecnologia di un drone, la pericolosa emissione di onde elettromagnetiche di un Muos (Mobile User Objective System) o un misterioso sistema di controllo climatico globale: il fine giustifica i mezzi ed i mezzi, troppo spesso, è vietato conoscerli.

Una grande potenza militare come quella degli Usa, famosa per aver liberato il mondo dai suoi totalitarismi e dalle sue dittature, ed un piccolo Stato come quello di Israele che, dai templi di Theodor Herzl e del suo motto “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”, detiene il suo grande controllo sui palestinesi così come in gran parte del mondo, nelle banche, nella politica e nelle faccende militari e politiche. L’espansione territoriale di una, completa quella piccola dell’altra potenza mentre lo sviluppo militare di una, si mette a disposizione dell’altra: potremmo dire un matrimonio perfetto o meglio, di “copertura” per la causa israeliana.

I rapporti di Obama con Netanyahu non sono stati dei migliori, ma troppo spesso i rapporti personali contano poco quanto a pesare sono quelli internazionali, gli obiettivi e gli scopi comuni. Dalla Libia, alla Siria, all’Iran, Stragi e crimini ignorati mentre dall’altra parte del mondo si continua a contemplare una Shoah appartenente alla storia per cullare il mondo e distogliere il suo sguardo dagli eccidi attuali.

Scrissi recentemente come è noto che le grandi potenze mondiali alimentano gli estremismi, nonostante apparentemente li condannino in nome della democrazia, per poi incitarli alla violenza verso il proprio stesso popolo e giustificare successivamente le missioni di “prevenzione” al terrorismo nei Paesi d’origine. Un Occidente che continua a mandare sms di solidarietà per combattere la povertà del terzo mondo e poi ruba il pesce al povero invece di insegnargli a pescare.

Così da Tel Aviv arriva chiaro il messaggio di Obama, giunto in Medio Oriente per la prima volta dopo la sua elezione: “Gli Usa sono orgogliosi di essere a fianco di Israele in qualita’ di suo più forte alleato e più grande amico”.

E mentre Obama annuncia la sua visita in Palestina dopo aver reso omaggio alla tomba di Herzl il padre del sionismo, da Gaza partono le manifestazioni anti-Usa: “Siamo qui oggi per dire basta con la pressione contro il popolo palestinese, a cui si cerca di imporre la colonizzazione unilaterale e le precondizioni statunitensi – ha detto Khalid al-Batsh, leader della Jihad Islamica – La visita di Obama non serve agli interessi del popolo palestinese, ma sostiene l’idea di uno Stato ebraico”. Bandiere americane sono state bruciate per manifestare la propria contrarietà ad una visita non gradita in nome di un popolo, quello palestinese, che continua a subire la violenza di un genocidio abbastanza taciuto.

Si conclude così una giornata che non nasconde la sua ipocrisia: un bambino israeliano che, contemplando lo sviluppo del sistema anti-missile Iron Dome americano, dice ad Obama “grazie per difenderci dai missili di Gaza”.

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