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Il nuovo ruolo della Russia in Libia

di Salvo Ardizzone

Dopo l’exploit in Medio Oriente, Mosca sta rientrando in pieno nel Grande Gioco diplomatico che si muove dietro la crisi libica, ma sta imponendo le proprie condizioni.

Al-Sarraj, premier del Governo di Accordo Nazionale (Gan), dopo il controverso insediamento avvenuto sotto l’egida dell’Onu si trova in difficoltà: assenza di liquidità, mancanza di sicurezza, carenza spaventosa dei servizi sono solo alcuni dei motivi che, dopo alte aspettative, stanno facendo montare il malcontento popolare.

I tanti Paesi che a parole l’hanno appoggiato, nei fatti seguono le proprie agende limitandosi ad un sostegno di facciata; per uscire dall’impasse Al-Serraj ha chiesto ufficialmente a Mosca un impegno deciso per porre fine all’embargo sugli armamenti ed al congelamento del fondo sovrano libico (Lia), adducendo il solito pretesto della necessità della lotta all’Isis.

Ma Mosca non è una Cancelleria occidentale e sa anche troppo bene che quello dello Stato islamico è l’eterno pretesto dell’Occidente per coprire le proprie mosse; la Russia le sue scelte in Libia le ha già fatte da tempo, puntando a rinforzare i suoi legami con l’Egitto ed avere un rapporto proprio con Haftar, l’uomo forte che controlla Tobruk.

Per questo sin dall’inizio ha dichiarato per bocca di Lavrov che riconoscerà il Gan solo se questi otterrà la fiducia del parlamento di Tobruk (controllato proprio da Haftar); per questo ha provveduto a stampare 4 miliardi di dinari (pari a circa 2,7 miliardi di euro) che ha messo a disposizione di una Banca Centrale alternativa a quella di Tripoli, malgrado le proteste del Gan e di Washington; per questo Haftar gode già di un canale privilegiato con Mosca (di cui s’è vantato pubblicamente) che gli ha già assicurato un flusso notevole d’armamenti che ha aggirato l’embargo.

La contro proposta che Lavrov farà ad un Al-Serraj, lasciato solo dai suoi sedicenti protettori occidentali, sarà d’includere il governo di Tobruk nella fine dell’embargo sulle armi; eliminare gli ostacoli legali posti dal Noc (l’Ente petrolifero libico di stanza a Tripoli) allo sfruttamento delle risorse della Cirenaica; ridistribuire le riserve della Banca Centrale (Cbl) e del fondo sovrano e soprattutto accettare senza riserve un ruolo primario per Haftar e la sua milizia (che pomposamente continua a chiamarsi Esercito libico) nella definizione degli equilibri del Paese.

Dopo anni di sanguinosa anarchia causata dall’aggressione franco-inglese, sarebbe paradossale ma probabile il ritorno dell’influenza di Mosca in Libia come ai tempi di Gheddafi, quando era la Russia ad equipaggiare ed addestrare l’Esercito.

Nel frattempo, con l’affievolirsi dell’esigenza dell’alibi Isis, le milizie di Misurata, che hanno riconosciuto il Gan, stanno avanzando verso Sirte da Occidente, e lo stesso, da Oriente, stanno facendo le Petroleum Gards di Ibrahim Jadran, ridimensionando il babau non più indispensabile.

In Cirenaica, da parte sua, riempito di rifornimenti da Egitto, Emirati e Giordania, e sostenuto da Special Forces francesi, Haftar ha ripreso l’offensiva contro il Consiglio della Shura dei Rivoluzionari di Bengasi, un cartello di milizie che comprende terroristi come Ansar al-Sharia ed estremisti salafiti, sostenuti tutti dal Qatar.

E perché i giochi siano chiari del tutto, Haftar si è appena recato ad Amman con il pretesto delle celebrazioni del centenario della grande rivolta contro la Turchia del 1916; nella realtà per coordinarsi con i suoi alleati regionali e non solo.

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