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Il fondo di redenzione europeo (Erf). Quello che ci attende

di Luna Sambito

Il fondo di redenzione europeo (Erf) prevede un impegno vincolante di tutti i Paesi partecipanti a portare il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo (Pil), al di sotto del valore di riferimento del 60% entro i prossimi 20-25 anni.

Per garantire che tale obbiettivo venga raggiunto si dovrà passare attraverso avanzi di saldi primari. I Paesi partecipanti, così facendo, dovranno trasferire il loro eccessivo indebitamento, ad una certa data, ad un fondo di riscatto i cui Paesi stessi sono responsabili in solido.

Nel loro ultimo tentativo di risolvere la crisi europea del (falso) debito, i responsabili delle politiche a livello europeo, nel gennaio del 2012, hanno deciso di introdurre il Fiscal Compact (pareggio di bilancio) finalizzato ad avviare una riduzione dell’eccessivo debito sovrano.

In base a quanto espresso nel rapporto del German Council of Economic Expert, questa decisione non esclude che i singoli Paesi membri si possano poi trovare in difficoltà di rifinanziamento, almeno fino a quando i mercati finanziari non si siano convinti che il processo di consolidamento si sia avviato. Dunque dovremo sottostare ancora una volta al dik-tat dei mercati.

Staremo a vedere quello che succederà nel prossimo futuro. Sempre in base al rapporto, l’elevato grado di incertezza sui mercati finanziari si riflette sui premi di rischio del debito sovrano che restano elevati (anche se ultimamente, in Italia, sembra che le cose siano andate meglio anche in assenza di un governo).

Dunque a livelli più elevati dei tassi di interesse, il percorso del risanamento concordato con il Fiscal Compact impone ai Paesi membri con elevati indici di indebitamento a registrare avanzi primari a livelli che solo pochi Paesi sono stati finora in grado di sostenere per un periodo di tempo prolungato. C’è da sottolineare il fatto che avanzi primari si possono registrare solo in una fase di espansione economica, mentre la nostra economia è fortemente in recessione.

L’elevato grado di incertezza dei mercati finanziari possono generare un massiccio aumento dei tassi di interesse che potrebbe mettere in discussione la reale sostenibilità del (falso) debito pubblico. Quindi non si può escludere che le condizioni di finanziamento si deteriorino proprio quando i Paesi membri si impegnano a varare riforme che sicuramente porteranno alla cancellazione del walfare così come lo abbiamo conosciuto.

Nel caso più estremo, un paese potrebbe non essere più in grado di rifinanziare i titoli di Stato in circolazione sul mercato finanziario internazionale, e una crisi di liquidità potrebbe trasformarsi in una crisi di solvibilità.

A quanto pare questa crisi di liquidità/solvibilità non potrà fare affidamento sulla Banca centrale europea, che potrebbe comprare direttamente i titoli di Stato, e nemmeno su un illimitato finanziamento attraverso gli Eurobonds. Eurobonds che la Germania non vuole e dunque non si capiscono nemmeno le finalità e gli scopi dell’Erf (mentre ad esempio si conoscono le finalità del Fondo Salva Stati).

In base al rapporto, un meccanismo efficace per affrontare queste crisi di liquidità potrebbe essere l’utilizzo del Fondo Salva Stati (MES/EFSF).

Insomma si tratta, in entrambi i casi, di fondi che vengono alimentati con i soldi dei contribuenti che sarebbero potuti restare benissimo a casa propria, invece di essere trasferiti alle burocrazie europee.

Attraverso le garanzie in solido per il fondo di redenzione europeo, i membri partecipanti indebitati potrebbero pagare un tasso di interesse inferiore sul loro debito trasferito. Così la riduzione del rifinanziamento agisce positivamente sui saldi primari che consentono la riduzione del rapporto del debito sotto la soglia del 60%. Insomma, un regalo che ci potrebbero fare i mercati finanziari ma ad un prezzo elevatissimo per i cittadini che potrebbero essere espropriati di tutto.

La possibilità di usufruire di costi di finanziamento più bassi, infatti, è associata a condizioni rigorose:

  • l’assegnazione del nostro gettito fiscale;
  • depositi collaterali (depositi di valori in garanzia);
  • l’obbligo di impegnarsi per le riforme strutturali e di consolidamento.

Dopo aver trasferito il debito pubblico eccedente all’Erf, il debito residuo nazionale non deve poi nuovamente superare il livello del 60% del Pil. Verranno dunque introdotti dei freni che limitano il deficit strutturale al di sotto del livello dello 0,5% del Pil.

I parametri centrali dell’Erf sono in linea con le regole di disavanzo e sul debito predisposte dal “Patto di stabilità e crescita” e il “Fiscal Compact”. L’impegno a riscattare il debito entro 20-25 anni corrisponde alle disposizioni che richiedono una riduzione del debito annuale di 1/20 l’anno, mentre il Fiscal Compact sembra più un impegno ad attuare i freni al debito nazionale.

In conclusione, dopo anni e anni di silenzio, gli euro-burocrati si sono svegliati e sono intenzionati ad andare fino in fondo per far rispettare i parametri di Maastricht.

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