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Il Brasile sceglie Dilma Rousseff, ma nel Paese regna il malcontento

di Salvo Ardizzone

Dilma Rousseff c’è riuscita, anche se con il risultato più striminzito mai registrato alle elezioni presidenziali: è stata rieletta con il 51,6% contro il 48,3% dello sfidante Aecio Neves. In realtà tutta la sua campagna elettorale è stata sulle montagne russe: dal 2013 s’erano succedute proteste di massa per il rallentamento vistoso dell’economia e la scandalosa gestione della preparazione ai Mondiali di calcio, che avevano portato al minimo il suo gradimento; poi è stata la meteora Marina Silva (che aveva sostituito Campos, lo sfidante più accreditato morto ad agosto in un incidente) a metterla in difficoltà, arrivando a superarla in alcuni sondaggi; in fine, a pochi giorni dal ballottaggio con Neves, la notizia sparata dalla stampa secondo la quale lei e Lula erano a conoscenza dei dettagli del colossale scandalo Petrobras (una storia di corruzione portata avanti dall’azienda petrolifera di Stato).

Alla fine l’ha comunque spuntata in una lunga campagna elettorale fatta di accuse, attacchi personali, spot surreali per il loro allarmismo e assai poco di contenuti. L’ha spuntata, sia pur di poco, un Brasile impaurito, che vuol tenersi stretti i programmi sociali e i sussidi di un Governo a cui perdona scandali a ripetizione e madornali inefficienze.

Adesso, però, per governare Rousseff dovrà vedersela col Congresso Federale e dal Senato usciti dalle elezioni del 5 ottobre (in concomitanza del primo turno delle presidenziali), per la loro composizione, probabilmente, i più conservatori e reazionari degli ultimi 50 anni. Sorprendendo tutti gli osservatori, che avevano visto nelle grandi manifestazioni del 2013 il sintomo d’un grande movimento di massa che chiedeva cambiamento e diritti civili, il risultato elettorale ha sancito l’elezione d’un numero incredibile di ex militari (circa il 30% degli eletti), leader religiosi, possidenti terrieri e politici ostentatamente conservatori, con campagne elettorali anti abortiste, anti gay, basate su ossessive richieste di sicurezza repressive e autoritarie e per l’eliminazione di molte tutele ambientali.

Non è una questione di “destra” o “sinistra” come potremmo intendere in Europa; in Brasile deputati e senatori non si collocano in base al partito col quale sono stati eletti, spesso una semplice sigla o un comitato elettorale, ma, in base agli interessi che rappresentano, si riuniscono in gruppi trasversali denominati frentes o bancadas; per fare un esempio che dimostra la virata del Congresso, la frente legata ai movimenti sindacali s’è dimezzata, passando da 83 a 46 componenti, mentre quella dei ruralistas (i grandi possidenti) ne conta ora più di 200 (figuratevi con quali conseguenze per la difesa dell’Amazzonia e dei diritti degli Indios).

Inoltre, a complicare le cose, è aumentata la frammentazione dei partiti, con cui comunque si deve trattare per la formazione di un Governo: se ne contano 28 al Congresso e 16 al Senato, determinando una situazione di difficile governabilità, che costringerà la Rousseff a continui equilibrismi per garantirsi una base parlamentare (e ad essere soggetta a ricatti quotidiani). È una situazione che nella passata legislatura ha già dovuto sperimentare (malgrado la frammentazione fosse minore e la base del Congresso assai più omogenea di quella odierna, e in qualche modo più vicina alle sue posizioni), imponendole un Esecutivo pletorico per accontentare i vari appetiti e la gestione quasi quotidiana di casi di corruzione con conseguenti forzate dimissioni.

Il Brasile è un colosso che ha interrotto da anni la sua corsa verso lo sviluppo (quest’anno la crescita s’avvicinerà allo zero); è un Paese che potrebbe fare molto non solo per il suo Popolo, ma per l’intero Sud America, divenendone il motore e l’ombrello per limitare le ingerenze di potenze terze (leggi in modo particolare gli Usa). Dovrebbe però dare una svolta decisa sia alla sua economia (troppo frenata da una corruzione e da un’inefficienza che stupirebbero anche noi italiani) sia alla gestione del suo immenso territorio e delle sue incredibili risorse, oggi non solo carente, ma inquinata da troppi potentati e satrapie che la usano disinvoltamente per i propri interessi.

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