Medio Oriente

I giovani e la rete della solitudine

di Valentina Trovato

Se una sera andando a cena da amici questi ci dicessero che il figlio adolescente rimarrà in camera e consumerà la propria cena da solo perchè in punizione, probabilmente rimarremmo un po’ sorpresi.

I nostri teen-agers non considerano più una punizione consumare i pasti in solitudine, infatti raramente si “concedono” alla nostra presenza, quando accettano di stare con noi mostrano scarso entusiasmo e si alienano quanto più possibile con il loro cellulare di ultima generazione preferendo la loro realtà virtuale nella quale possono essere liberi, esprimendo loro stessi sempre più in chiave individualistica.

Viviamo in metropoli ultrapopolate, ma spesso sentiamo affermare che “siamo soli”, i nostri giovani potrebbero apprendere dall’esperienza con il proprio compagno di banco, con il proprio amico o ancora con le migliaia di persone che incontrano sui mezzi di trasporto, ma spesso non lo fanno, se li osserviamo in strada o in metropolitana rappresentano lo specchio di una triste realtà: auricolari con musica assordante sguardo basso e interesse totalmente assente per l’altro.

Se dovessimo chiedere ad un giovane il numero dei suoi amici saprebbe rispondere con precisione assoluta, perchè si riferirebbe alla lista di amici sul social network, ma se chiedessimo allo stesso giovane di dirci i particolari del suo migliore amico o cosa realmente potrebbe ferirlo, il ragazzo che precedentemente con precisione certosina ci aveva detto il numero dei suoi amici, non riuscirebbe a rispondere.

Ci dimentichiamo del nostro prossimo, la società dei digital native che si impone di apparire interessanti, brillanti ed esclusivi si impone altrettanto di escludere chi ritiene essere diverso per i motivi più disparati.

Due vicende di cronaca recente sono esempio della solitudine e del senso di vuoto che caratterizza i giovani: pochi giorni fa a Roma il tentato suicidio del 16enne romeno che avvertiva un forte senso di incomprensione e indifferenza per la condizione di omosessualità da parte di chi lo circondava e soprattutto da parte del padre.

Altra vicenda quella di un 16enne torinese che in seguito alle continue pressioni e insulti  provenienti dalla comunità del web ha deciso di togliersi la vita.

Ci si deve interrogare sul profondo male che affligge queste due fasce di giovani gli uni da una parte che sono figli di una società che li ha voluti “insoddisfatti e crudeli” nei confronti dei pari, ma invece così pronti ad accogliere il dolore dell’altro che vive lontano; dall’altra parte troviamo i figli della società che non vedono altra soluzione al dolore se non il suicidio e la fine, non si accorgono invece che fuori dalla porta della propria camera c’è il calore e il conforto offerto dall’altro.

Viviamo nel XXI secolo, in quella che è definita “era della comunicazione”, ma è evidente che la comunicazione più importante tra gli uomini viene a mancare, perchè si interpone tra di essi uno sterile smartphone o un pc a cui affidiamo le nostre parole e i nostri sentimenti.

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