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Arabia Saudita: i crimini silenziosi del regime saud

di Carolina Ambrosio

In Arabia Saudita continua a registrarsi un numero sempre crescente di violenze. E’ tristemente noto a tutti il terribile caso del blogger, Raif Badawi, condannato a 10 anni di carcere e mille frustate per aver messo in discussione il regime all’interno del suo blog “free saudi liberals”; ma in Arabia Saudita, secondo Amnesty International, si sta assistendo ad un aumento esponenziale delle esecuzioni.

A causa di un interpretazione molto rigida della Shari’a, molto vicina a posizioni wahhabite, la pena di morte è legale ed è prevista per vari reati: quali omicidio, stupro, rapine ecc. Ciononostante nel regno si registra una crescita nel praticare le esecuzioni che è senza precedenti. In un singolo giorno, lo scorso martedì, ci sono state tre esecuzioni, di cui una per stupro e due per omicidio. Dall’inizio dell’anno sono stati uccisi decine di detenuti, per lo più trafficanti di droga, non solo sauditi ma dalle nazionalità più varie: giordani, yemeniti, pakistani. In realtà facendo una piccola ricerca, si scopre che anche negli anni scorsi la maggior parte dei condannati a morte erano stranieri. Tuttavia sono pochi i governi stranieri che si sono schierati per i propri concittadini, appellandosi alla clemenza.

Ad oggi, dall’inizio dell’anno si sono registrate già 38 esecuzioni , di cui 11 solo nel mese di Gennaio, e, ad una stima approssimativa, il totale delle esecuzione nel 2015 sarà tre volte superiore a quello del 2014 secondo l’Afp, Agenzia di Stampa Francese. Infatti, da alcuni dati di Amnesty International, nel 2012 sono state uccisi 9 condannati, nel 2013 17, e nello scorso anno 26. Ma si è comunque notato come le decapitazioni siano aumentate per alcune figura nello specifico.

Da quanto denuncia un ricercatore Amnesty, Sevag Kechichian, questa infelice crescita non avrebbe una causa specifica, nè tantomeno plausibile. Per cui non è imputabile all’allarme terrorismo. L’aumento delle esecuzioni non è correlato in alcun modo con misure governative restrittive per arginare la minaccia terroristica nel regno. A questo proposito, Kechichian denuncia che la maggior parte dei condannati a morte erano oppositori politici, trafficanti di droga stranieri, o comunque detenuti che avevano commesso crimini non violenti per cui era esclusa l’ipotesi di possibili fini terroristici. Nemmeno l’avanzata e la possibile minaccia Isis potrebbero esserne la causa. Si tratterebbe, a quanto pare, di una crescita del tutto ingiustificata, che non trova spiegazioni sensate.

A prescindere dalle possibili cause, tali omicidi restano in ogni caso impensabili per una nazione come l’Arabia Saudita.

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