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Ennesima umiliazione per la diplomazia italiana

di Mauro Indelicato

La magra figura fatta dall’Italia sul caso dei Marò, è stata sottolineata da tutti i media internazionali, i quali non perdono occasione, visto anche lo stallo politico attuale, di mettere in evidenza gli aspetti più negativi del nostro Paese.

Senza entrare nel dettaglio della vicenda, per il quale già interi fiumi di inchiostro sono stati gettati via, quello che più lascia perplessi è l’incredibile doppio cambiamento di opinione su una vicenda molto intrigata, per il quale invece, sia in un verso che nell’altro, servirebbe una decisa e netta presa di posizione.

La girandola delle idee del nostro governo, ha avuto inizio giorno 12 marzo, quando, nello stupore generale, il Ministero degli Esteri, per bocca del Ministro Giulio Terzi, annunciava come i due Marò non tornavano in India alla scadenza della licenza data dal Paese asiatico per permettere ai militari di andare a votare.

“Non sono state rispettate le norme di diritto internazionale ed aspettiamo ancora la pronuncia in merito la giurisdizione da attuare per il Processo, visto che secondo noi l’episodio è accaduto in acque internazionali” si legge nel comunicato della Farnesina.

Poche ore dopo, anche la nostra testata ha dato ampio spazio a cosa trapela sotto questa dura, e fino ad allora apparentemente risoluta, presa di posizione del governo italiano: i fatti e le coincidenze di quel giorno, parlavano infatti anche dell’avvio, guarda caso contemporaneo, dell’inchiesta di New Delhi su Finmeccanica, che aveva già portato a 12 denunce. In sostanza, l’India ha dato un formale via libera ai Marò, in cambio di documenti indispensabili, sempre su Finmeccanica, per avviare l’inchiesta accennata sopra, che Roma avrebbe fornito appena due giorni prima.

Ma la reazione rabbiosa dell’opinione pubblica indiana, aveva messo in grave imbarazzo e difficoltà il premier Singh, il quale ha dovuto fronteggiare feroci critiche anche dal suo partito, oltre che da quelli dell’opposizione. Così, si è optato per una mossa mai vista prima in campo internazionale, ossia l’impedimento al nostro ambasciatore a New Delhi, di lasciare l’India e non poter tornare in patria.

Tutto ciò, è andato pesantemente a violare anche la Convenzione di Vienna, che garantisce l’immunità per i diplomatici, ma nonostante questo, la reazione del governo italiano non è stata molto dura.

Invece di ricorrere all’arbitrato internazionale o di pronunciare parole dure di condanna per il trattamento riservato al nostro ambasciatore, al fine di richiederne l’immediato rientro, l’Italia si è limitata a deplorare l’accaduto; sotto invece, sembrerebbe esserci stata una trattativa, con il quale l’India voleva evidentemente cercare di salvare la propria faccia e la propria nomina, evitando quindi di passare come l’anello debole della diplomazia dei Paesi emergenti, sfruttando il nostro principale rappresentante democratico come un vero e proprio “scudo.”

Ma cosa può aver spinto, nel bel mezzo della trattativa, il nostro governo a cedere di schianto ed a riconsegnare i due Marò alle autorità indiane? Come mai cioè, il nostro paese ha quasi accettato di assumere il ruolo di attore soccombente della vicenda?

Le prime carte iniziano ad uscire e mostrano come il coltello dalla parte del manico l’avesse l’India e pare che ancora una volta, ad essere determinante, sia l’affaire Finmeccanica: troppi i soldi che rischiano di andare in fumo, così come sono troppi gli accordi di natura economica già raggiunti dalla finanza italiana nel Paese asiatico, per potersi permettere un braccio di ferro troppo lungo con New Delhi, il cui governo ha tra la mani scottanti dossier su Finmeccanica, che coinvolgono esponenti illustri della classe dirigente italiana.

Sarebbe curioso poter sapere cosa hanno detto al Ministero della Difesa ai due Marò nel corso delle ben cinque ore impiegate per convincerli ad imbarcarsi sul primo volo utile; e così, si è consumata un’enorme figuraccia da parte della nostra diplomazia, che ha fatto la figura di chi ha alzato un pugno per colpire il nemico, salvo poi ritirarlo repentinamente, una volta accertato che tale nemico era molto più forte.

Da tutto questo, emerge anche il disgusto per come due poveri pescatori morti mentre tentavano di portare a casa da mangiare alle famiglie, siano diventati pedine sfruttate e strumentalizzate dalle due parti in causa; non si discute certo la colpevolezza dei militari italiani capaci di scambiare due pescatori per dei pirati, ma sacrificarli sull’altare degli interessi economici e politici, non rende certo onore all’Italia, da oggi sempre più umiliata nel contesto della comunità internazionale.

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