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Egitto: l’Eni scopre uno dei più grandi giacimenti al mondo di gas naturale

di Salvo Ardizzone

Un oceano di gas, stimato al momento fino a 850 miliardi di metri cubi su circa 100 chilometri quadrati di estensione: lo ha scoperto l’Eni a 190 chilometri dalle coste egiziane, si tratta di un giacimento supergiant, il più grande del Mediterraneo, con ulteriori potenzialità che lo porrebbero fra i più grandi al mondo in assoluto.

Il pozzo già perforato, lo Zohr 1X, si trova a 1.450 metri di profondità, in una concessione detenuta dall’Eni al 100% e su cui ha la completa gestione; l’accordo era stato siglato nel gennaio dell’anno scorso con il Ministero del Petrolio egiziano e con la Egas (Egyptian Natural Gas Holding Company), la società di Stato che si occupa di gas naturale.

La scoperta ha un potenziale strategico enorme, perché garantirà l’intero fabbisogno energetico all’Egitto, un Paese di 90 milioni di abitanti, per i prossimi quarant’anni; non solo: per le caratteristiche ottimali del giacimento, quel gas avrà costi di estrazione bassi, contribuendo a farne un business colossale.

L’Eni, che è nel Paese fin dal 1954, nello sviluppo agirà in partnership al 50% con la società statale Petrobel, secondo uno schema collaudato fino dai tempi di Mattei; i primi pozzi partiranno a gennaio ed entro un paio d’anni è previsto l’avvio della piena produzione; un tempo incredibilmente breve se si pensa ai problemi immani che si pongono per lo sfruttamento di altri giacimenti, come quelli siberiani o quello di Kashagan in Kazakistan.

Insomma, per l’Eni si tratta di un enorme colpo a segno, che ha fatto volare le sue azioni e le sue quotazioni internazionali, recentemente appannate dopo le ultime disavventure dell’era Scaroni. Paolo Descalzi, l’attuale Amministratore Delegato, sabato è volato al Cairo per incontrare un al-Sisi entusiasta della notizia: dopo il raddoppio del Canale di Suez festeggiato a inizio agosto grazie ai capitali sauditi, il Presidente egiziano adesso si trova fra le mani la soluzione del problema energetico, uno dei più gravi, che lo faceva dipendere in tutto e per tutto dall’Arabia Saudita e dagli altri petrostati del Golfo.

Francamente non riteniamo che l’enorme ricchezza trovata al largo delle coste egiziane sarà finalizzata a risollevare le condizioni di quel Paese, e tanto meno che, liberato dal peso della bolletta energetica, al-Sisi inauguri una politica diversa, distaccandosi dagli aiuti interessati di Riyadh e delle altre capitali del Golfo.

Il Presidente, se così vogliamo chiamare un dittatore che ha preso il potere con un colpo di Stato e che ora lo esercita con una brutalità che fa rimpiangere Mubarak, ha come missione quella di fare gli interessi propri e della casta militare che lo sostiene; una congrega di parassiti gallonati che fin’ora ha vissuto sulle spalle del Paese spolpandolo in ogni modo, e mantenendo intatti i propri privilegi mentre il Popolo egiziano sprofondava nel disagio. Adesso, la cosa più probabile è che, da una posizione di forza, continui a vendere il proprio appoggio, ma facendolo pagare assai più caro.

Le elezioni che fra ottobre e novembre dovrebbero portare al voto l’Egitto per eleggere il Parlamento, nella prima votazione dopo l’elezione di al-Sisi alla presidenza, dovrebbero essere una marcia trionfale per il generale-dittatore, forte ora non solo di un impianto legislativo liberticida, ma anche di successi di forte impatto mediatico.

Renzi, che di opportunismo se ne intende, non a caso è stato il primo dei leader europei che nell’agosto del 2014, scordando la repressione sanguinosa ed i processi farsa, lo incontrò dopo il suo insediamento per favorire la grande industria italiana. Resta quanto meno la speranza che quell’enorme giacimento, oltre che migliorare in qualche modo le condizioni del Popolo egiziano, possa servire a differenziare gli approvvigionamenti energetici italiani, messi irresponsabilmente a repentaglio da una politica estera disastrosa: partecipazione alla folle missione anglo-francese che ha destabilizzato la Libia; totale disinteresse della gestione del dopo, di cui pagheremo conseguenze sempre più gravi; cieca adesione alle sanzioni volute da Washington contro Mosca e così via.

Ma qui ci rendiamo conto di sperare troppo; con tutta probabilità, quell’enorme ritrovamento servirà a sistemare i bilanci dell’Eni e a rilanciarla sui mercati internazionali, e sarà già tanto.

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