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Diritti Umani sotto esame in Italia

I Diritti Umani in Italia sono stati esaminati dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nell’anno in cui la presidenza Osce spetta proprio all’Italia non è un caso che si sia prodotto un documento che affronta il tema della tutela e della violazione dei diritti umani con un focus su cinque aspetti principali: migrazione, donne, violenza di genere, tratta di esseri umani, razzismo, tutte questioni che vedono l’Italia purtroppo protagonista in negativo negli ultimi anni.

diritti-umaniSu queste cinque macro aree che si è svolto l’esame sull’Italia grazie all’ausilio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che ha redatto un report dal titolo: “Implementation of Selected Osce Commitments on Human Rights ad Democracy in Italy”, il documento è una disanima dettagliata dell’Italia rispetto ai principali principi Osce sul tema dei diritti umani.

Il primo report scatta una foto prima del 2018 e riguarda il tema della migrazione in Italia in cui si parla di cinque milioni di stranieri regolarmente soggiornanti in Italia per un 8.2% della popolazione; la maggior parte di essi è proveniente dalla Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina, mentre si stima in 670mila gli stranieri irregolari. Secondo i dati dello studio nel 2015 i migranti arrivati in Italia sono stati 153mila che sono poi saliti a 181mila nel 2017.

Dal 1986, vige la regola per cui è necessario essere sponsorizzato da un datore di lavoro residente in Italia visto che la possibilità di entrare in Italia per trovare lavoro è esclusa in quanto la legge non prevede di poter convertire un permesso di soggiorno per ragioni di turismo in uno per lavoro; la conseguenza è che chiunque rimanga in Italia dopo la scadenza del visto viene ritenuto irregolare. Ciò ha fatto lievitare il numero degli irregolari che entrano con un visto per soggiorni brevi, trovano un lavoro senza contratto e rimangono in attesa di una regolarizzazione che non avverrà mai o con tempi lunghissimi.

Altro capitolo trattato dal report è quello della quota ingressi: stando alla legge il governo dovrebbe redigere un “documento di programmazione triennale” che dovrebbe fissare le quote annuali per l’ingresso degli stranieri a fini lavorativi. Il fatto è che l’ultimo documento redatto risale al 2005 quando il mondo viveva un’altra storia e ciò crea una carenza che trova la sua giustificazione nella disastrosa situazione dell’economia italiana, in quanto la riduzione della domanda di lavoro avrebbe reso impossibile definire i flussi migratori su un intervallo di tre anni.

Lo status di rifugiato è un altro capitolo dello studio e parte dall’assunto che la Costituzione italiana riconosce il diritto alla protezione non solo a chi è stato perseguitato individualmente ma anche a coloro che fuggono dalla loro nazione per mettere in salvo la vita, sfuggire alle guerre e per coloro che sono impediti nell’esercizio delle libertà democratiche riconosciute dalla stessa costituzione italiana. Però il report denuncia quanto segue: “Una legge nazionale in materia di asilo non è mai stata attuata. Il quadro giuridico è ora cambiato grazie all’implementazione delle direttive Ue in materia di asilo che hanno costretto l’Italia a stabilire un sistema organico di asilo, adottando legislazioni sullo status di rifugiato e protezione sussidiaria, condizioni di accoglienza e procedure per la concessione internazionale di protezione”.

Da qui nasce l’inghippo dell’articolo 7 del Regolamento di Dublino in base al qual il richiedente è autorizzato a rimanere in Italia in ogni fase della procedura e il trasferimento da un Paese all’altro si basa sul presupposto che tutti i Paesi europei possano essere considerati sicuri per i richiedenti asilo, ma stando allo studio della Scuola Sant’Anna di Pisa “tutto ciò è in contrasto con la realtà, poiché i sistemi di asilo sono diversi, anche tra i Paesi dell’Ue. Inoltre, ogni Stato membro ha sistemi di welfare diversi e mercati del lavoro diversi e così uno Stato membro può essere molto più attraente di un altro. Il risultato è che il sistema di Dublino si è dimostrato inefficace”.

Altro punto dello studio è quello sul ruolo delle donne; anche qui l’Italia si dimostra fallace anche se molti passi avanti sono stati fatti dal 2000, anno in cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò la risoluzione “Women, Peace and safety”; sono passati 18 anni e in Italia sono state 12mila le donne che hanno scelto l’esercito o l’Arma dei Carabinieri senza restrizioni su reclutamento, ruoli e responsabilità. Attualmente le donne rappresentato il 5% del personale delle forze armante con la seguente distribuzione: 5.991 nelle Forze Armate, 1.246 nell’Aviazione, 2,041 nella Marina Militare, 2.569 nell’Arma dei Carabinieri.

L’ultimo capitolo dello studio è dedicato al razzismo, xenofobia e antisemitismo e stando ai primi dati disponibili per il 2017 vi sono stati 4mila episodi registrati dall’ufficio nazionale discriminazioni razziali con un 91% classificato come discriminazione razziale e/o xenofoba, il 73% come discriminazione etnica e/o razziale, il 9,9% come discriminazione religiosa, il 9,1% come discriminazione sessuale, il 4,4% come discriminazione basta sulla disabilità e un 2,4% discriminazione basata sull’età; i dati dimostrano un incremento del 30% delle informazioni pervenute all’Unar. Al centro dell’attenzione anche la propaganda su Internet. La Commissione Jo Cox sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo ha offerto un’analisi approfondita di questa situazione. Dal 2015, la tendenza del pensiero xenofobo tra gli italiani ha raggiunto più della metà della popolazione del Paese.

di Sebastiano Lo Monaco

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