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Costa d’Avorio: un Paese depredato dal colonialismo francese

Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è attualmente detenuto all’Aia, presso la Corte Penale Internazionale, per crimini contro l’umanità. Secondo l’accusa, fra il 2008 e il 2011 avrebbe gestito un piano per mantenere il potere a qualsiasi prezzo, causando la morte di centinaia e centinaia di persone.

Vista così la vicenda sembra quella di uno dei tanti dittatori che hanno insanguinato l’Africa, finalmente chiamato a pagare per i suoi crimini, nel suo caso dopo che le Forze Speciali francesi della missione Liocorne l’hanno catturato nel palazzo presidenziale dove era asserragliato. Ma a parte che vedere i commando di Parigi nel ruolo di gendarmi della giustizia e della democrazia è un poco dura, è tutta la vicenda ad apparire assai più complessa.

Gbagbo, che è nato nel 1945, è stato impegnato in politica da sempre, su posizioni socialiste e panafricane che l’hanno portato ad opporsi al regime autoritario di Houphouet–Boigny, che ha retto il Paese fra gli anni ’60 e ’90; in quegli anni è stato pure incarcerato e da ultimo costretto all’esilio a Parigi.

Nel 2000, col Front Populaire Ivoirien, vince le presidenziali, e solo massicce manifestazioni popolari riescono a imporre la sua elezione al Generale Guei (che aveva già preso il potere), inaugurando una presidenza decennale improntata al socialismo, ma tormentata da una sorta di colpo di Stato che costringe il Governo a una pace debole coi ribelli, e alla perdita del controllo sulle regioni settentrionali.

Nel 2010 si candidò ancora alla presidenza contro Alassane Ouattara, un vecchio ministro di Houphouet–Boigny; malgrado la presenza di osservatori dell’Onu e dell’Unione Africana, ci furono brogli e intimidazioni che costrinsero quei controllori alla fuga. Alla fine fu proclamato vincitore Ouattara e Gbagbo chiese il riconteggio dei voti, con un seguito di violenze che provocarono migliaia di morti da ambo le parti. Fu la Francia a premere per un intervento internazionale su mandato dell’Onu; ci fu l’attacco al palazzo presidenziale e Gbagbo finì dinanzi alla Corte Penale sotto un cumulo d’accuse che via via si sono moltiplicate. Ma come fa notare il suo avvocato, Emmanuel Altit, l’impianto delle accuse, malgrado anche troppo vasto, è tutt’altro che solido e definito (alcune delle prove presentate si riferivano addirittura a fatti avvenuti in Kenya, che nulla avevano a che fare con la vicenda), tanto da richiedere ulteriori supplementi d’indagine.

Il fatto è che l’eliminazione di Gbagbo dalla scena, è un grosso piacere ai vasti interessi francesi nel Paese; Parigi mantiene un controllo sempre più stretto sull’economia, per capirci: è il primo patner commerciale; ha in loco 240 filiali e 600 società a capitale francese; France Telecom, Orange, Paris Paribas e Credit Lyonnaise controllano telecomunicazioni e banche e la moneta locale è garantita dal Tesoro Francese. Non c’è ambito dell’economia, compresa l’estrazione del petrolio, che non sia sotto il controllo della Francia. Gbagbo s’era opposto ad altre privatizzazioni e voleva limitare l’influenza delle troppe già avvenute, ostacolando gli interessi di Parigi, a differenza di Ouattara, assai vicino a Sarkozy e ad altri dell’entourage parigino.

Malgrado le dichiarazioni di Fadi Al-Abdallah, portavoce della Corte Penale, che ha difeso l’operato del Procuratore Fatou Bensouda, sono molte le ambiguità di un’indagine che appare sempre più un processo politico, intentato per sbarazzarsi d’un personaggio scomodo.

È un fatto che la Francia, prima con Chirac e poi con Sarkozy, abbia agito più volte per rovesciare il governo di Gbagbo in nome dei propri interessi. È un fatto che la presa della Francia sull’Africa sia tornata fortissima, e ciò è testimoniato dai continui interventi militari, da ultimi in Costa d’Avorio, Mali, Repubblica Centrafricana. Per Parigi, la vecchia dottrina di Francafrique è più che mai attuale, con il suo colonialismo fatto di cinico sfruttamento e di violenza.

di Salvo Ardizzone

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