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Correa confermato a grande maggioranza

di Fabrizio Di Ernesto

Come ampiamente pronosticato Rafael Correa, uno dei più amati presidenti sudamericani, è stato riconfermato, già al primo turno alla guida dell’Ecuador.

“Questa è una rivoluzione che non ferma nessuno”, ha commentato il politico economista subito dopo aver appreso di aver ottenuto poco meno del 60% dei consensi.

Già i primi exit poll annunciavano una vittoria schiacciante, con il principale antagonista, il banchiere Guillermo Lasso, incapace di superare il 20% e così Correa ha subito annunciato la vittoria ai suoi simpatizzanti dichiarando: “Stiamo costruendo la nostra ‘Patria Grande’ latinoamericana. Grazie per la vostra fiducia, siamo qui per servirvi”.

Con questo nuovo mandato il presidente uscente si è guadagnato la possibilità di guidare il paese indio latino per altri 4 anni fino al 2017. A quel punto saranno ben dieci gli anni di presidenza per Correa, un vero e proprio record se consideriamo che in Ecuador tra il 1997 ed il 2007 si sono alternati al potere ben sette presidenti diversi.

Terzo mandato quindi per il presidente uscente Rafael Correa, al potere dopo che una gravissima crisi economica aveva portato il paese a ribellarsi al presidente Gutierrez, candidato anche in questa tornata e giunto a distanza siderale dal vincitore.

Cattolico osservante, ex missionario seminarista, nonché laureato in economia, in tutti questi anni ha consolidato il suo prestigio internazionale, configurandosi come una delle leve di un’America latina sempre più progressista e indipendente dagli antichi ricatti internazionali: rinegoziando il debito, rifiutando di continuare a concedere basi militari agli Usa, rifiutando l’Accordo di libero commercio di Bush per partecipare all’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli dell’America ideata da Cuba e Venezuela. Sul piano interno, vanta un Paese in crescita e i risultati delle sue politiche sociali sono evidenti: riduzione della povertà, aumento dell’istruzione e dell’inclusione.

In questi anni ha ottenuto risultati molto importanti che hanno fatto dell’Ecuador uno dei paesi più dinamici della regione grazie al suo “socialismo del bune vivir”.

Data la malattia di Chavez e la sua prolungata assenza dalla stanza dei bottoni in Venezuela ed in tutte le associazioni regionali da lui create ora si sta aprendo una sorta di vuoto legislativo e se a livello regionale il Brasile appare sempre più lanciato verso la leadership nell’area – non sembrano esserci paesi in grado di bilanciare Brasilia in Sud America – diversa la situazione nelle creazioni chaviste.

La più importante di queste l’Alba, ovvero l’alternativa bolivariane per le Americhe, dove da un po’ di tempo proprio il presidente ecuadoregno e quello boliviano Evo Morales stanno lottando, nemmeno troppo velatamente per diventare l’uomo forte di questa associazione politica e presentarsi come il punto di riferimento dei paesi socialisti della regione.

L’Alba comprende 8 paesi ed in più ha aperto ad altri sette, tra cui Iran e Siria, in qualità di osservatori; e nel corso degli anni è riuscita ad ottenere risultati molto importanti, basti pensare a PetroCaribe, un’alleanza creata nel 2005 come accordo commerciale tra i paesi caraibici per comprare greggio venezuelano ad un prezzo favorevole.

Nel corso degli anni questa associazione ha continuato a crescere ed ha dato vita al Banco dell’Alba e ad al Sucre, il Sistema unitario di compensazione regionale con l’obiettivo di rimpiazzare il dollaro statunitense come moneta per gli scambi commerciali dei paesi che vi aderiscono.

Qualora Correa riuscisse ad appagare le sue ambizioni in seno all’Alba si troverebbe a disporre di validi strumenti per controllare una parte della regione e, soprattutto, dell’economia indio-latina.

Conoscendo le ambizioni del politico ecuadoregno e la sua grande abilità politica è indubbio che dopo questa nuova vittoria elettorale non tenti la sua scalata al vertice dell’America latina. Chavez permettendo.

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