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Complicità e malaffare nello scandalo dell’autostrada del Brennero

di Salvo Ardizzone

Che le casse dello Stato siano vuote ce lo sentiamo dire tutti i giorni, ma che chi deve allo Stato la bazzecola di 550 milioni riscossi per lui, invece di ridarglieli sull’unghia lo ricatti infischiandosene di scadenze, contratti e simili quisquilie, pretendendo il rinnovo a prezzo minimo e senza bando di gara di una grassa concessione, potrebbe sembrare nuova, ma non in un Paese  come l’Italia. Accade con l’A22 del Brennero, l’autostrada che da Modena porta al confine austriaco, gestita da un Consorzio che vede insieme le Province Autonome di Trento e Bolzano con un gruppo di Enti Locali e Camere di Commercio di Emilia, Lombardia e Veneto.

La storia comincia nel 1997, quando Romano Prodi collegò alla concessione di Autobrennero un vincolo: in cambio di aumenti dei pedaggi, i gestori avrebbero riscosso ai caselli una piccola somma addizionale da destinare alla ferrovia del Brennero e al tunnel da costruire. L’obolo era minuscolo, ma gli utenti dell’autostrada tanti, così, anno dopo anno, s’è arrivati a 550 milioni che il Consorzio investe in titoli di Stato in attesa che, alla scadenza della concessione, vengano restituiti al Tesoro.

A dire il vero, già nel 2004, lo Stato stipulò con i gestori un atto aggiuntivo, che perfezionava ulteriormente gli accordi e confermava la concessione ma solamente fino all’aprile del 2014. Ora la concessione è ormai scaduta da mesi, ma di mollarla non se ne parla proprio, e meno che meno di trasferire al Tesoro quella somma che anno dopo anno va crescendo. Anzi! Il Consorzio ha fatto un ricatto bello e buono: se il Governo vuole quei soldi, dovrà prolungare l’attuale concessione di vent’anni e senza bandire alcuna gara, in barba sia alle prescrizioni di Bruxelles che all’Autorità di regolazione dei trasporti, un organismo nuovo di zecca che aveva già predisposto il bando per affidare la concessione a chi era disposto a offrire più quattrini e migliori condizioni di gestione.

E il Governo che fa? Fa valere i contratti e la normativa in vigore? Diffida i gestori e pretende che osservino i patti? Neanche per sogno. Manda il Ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi a Bruxelles per perorare le pretese dei concessionari, malgrado la Ue abbia sempre bocciato in malo modo (almeno questo) le scappatoie per aggiudicare simili concessioni senza gara.

Le Autostrade sono un business speciale, e già il Governo, attraverso il tanto reclamizzato decreto “Sblocca Italia”, s’accinge a fare un grosso regalo alla lobby del settore concentrata nell’Aiscat di quel Fabrizio Palenzona che fra l’altro è anche vice presidente di Unicredit (e di come, con un decreto che a parole avrebbe dovuto rimettere in moto il Paese, il Governo abbia favorito una pletora di potentati più o meno chiari e lobby ci occuperemo a breve). Ma Autobrennero è un caso a parte: mescola lo scambio di potere con Enti Locali, politici di medio cabotaggio ma radicati sul territorio, clientelismo di bassa lega e tanti soldi; dinanzi a questo c’è uno Stato ridicolmente debole e un Governo che dietro raffiche di annunci nasconde il vuoto e un’accondiscendenza assai poco chiara.

Sia come sia, chi comanda in Autobrennero è disposto a mollare i 550 milioni che ha in cassa al legittimo proprietario (lo Stato), solo a patto di poter continuare a gestire l’autostrada e gli investimenti collegati, che per inciso superano il miliardo. Ovviamente non si deve parlare di gara (come legge imporrebbe), sono disposti solo a pagare il prezzo minimo della base d’asta: 568 milioni per la concessione e 34 milioni l’anno per un ulteriore finanziamento di ferrovia e tunnel (che verranno realizzati chissà quando). E state tranquilli che finirà così.

A noi resta l’ennesima amarezza per un Paese in cui le regole valgono solo per i poveracci, e la presa in giro d’un pugno di furbi che dietro sorrisi e proclami fa e disfa ciò che meglio crede.

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