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Come Tsipras ha consegnato Atene a Berlino

di Salvo Ardizzone

E’ andata com’era già scritto: con la votazione tenutasi nella notte di mercoledì, la Grecia non è più uno Stato indipendente; con quell’atto, consumatosi in un clima fra il drammatico e il farsesco, la Germania ha assunto il protettorato su Atene, spogliandola dalla sovranità; è un precedente di una gravità immensa che nel futuro corriamo il rischio di vedere ancora.

Con un’incredibile capriola compiuta nello spazio di pochi giorni, Tsipras ha condotto il Paese dall’orgoglio di dire no ad altre imposizioni ad una capitolazione totale, dopo averlo messo spalle a muro.

Già nel pomeriggio, in una tesissima direzione del suo partito, era stato messo in minoranza e praticamente sfiduciato; membri del Governo hanno presentato le dimissioni e la stessa Presidente del Parlamento, Zoe Kostantopolou, non ha voluto presiedere la seduta per poter dire no a quel piano insensato. Tsipras è andato egualmente avanti in un’aula che, durante il dibattito sull’approvazione del diktat della Ue (meglio, di Berlino), ha dato l’ennesima testimonianza dell’infimo livello di quella classe politica. Nel frattempo, mentre il Parlamento votava il suicidio di una Nazione, fuori, fra manifestazioni e improvvise violenze di piazza, frange di irriducibili e militanti delusi inauguravano una nuova stagione di proteste.

Alla fine, su 300 parlamentari 229 hanno votato a favore, 64 contro e 6 si sono astenuti, ma è Syriza che si è platealmente spaccata, con 38 deputati che hanno votato No, fra cui due Ministri e un Vice Ministro. Era già tutto previsto: Anel, il partito di destra alleato di governo, dopo aver promesso sfracelli contro l’Europa, ha votato per il Si; lo stesso hanno fatto i partiti dell’opposizione: Pasok, Neo Demokratia e To Potami hanno garantito un’ampia maggioranza alla resa completa della Grecia.

Con assoluta disinvoltura, Tsipras s’era già garantito il loro appoggio incontrandoli subito dopo il referendum e facendosi dare il mandato per trattare; adesso, sono più che probabili nuove elezioni fra settembre e ottobre, come già annunciato dal ministro dell’Interno Nikos Voutsis. Sarà il solito Governo di unità nazionale che, sotto la sferza di Berlino, imporrà a un Popolo disperato e inebetito una dose mortale delle solite medicine tossiche che già hanno affossato il Paese. A guidarlo sarà sempre Tsipras che, malgrado tutto, e per assurdo che possa sembrare, secondo i sondaggi gode di una popolarità e di una fiducia ancora alta in una Grecia disorientata.

In questo modo, con tutta probabilità otterrà ciò che voleva: rimanere al potere; quello che si apre ora è un nuovo calvario per i Greci.

Intendiamoci, il loro Sistema Paese è tutt’altro che immune da colpe: ha truccato vistosamente i bilanci dello Stato, lasciato le aree più redditizie dell’economia in mano ad oligarchi o categorie privilegiate, permesso un’evasione ed una corruzione che fanno impallidire quelle italiane, a fini elettorali ha dissipato molte delle scarse risorse e tenuto in piedi un sistema pensionistico che, fra baby pensioni e privilegi, era semplicemente insostenibile, il tutto con un’Amministrazione pubblica in passato strapagata quanto inefficiente.

Il fatto è che nessuna delle ricette prescritte ha puntato su questo se non marginalmente, come d’altronde nessuno dei Governi che si sono succeduti (Syriza compresa) ha messo mano ad eliminare queste storture. Adesso, però, con un procedimento senza precedenti per la brutalità, il Paese è stato messo sotto tutela e, con la scusa di ripagare i debiti, sarà letteralmente svenduto. Porti, aeroporti, ferrovie, linee elettriche, autostrade e ogni altra infrastruttura finiranno nelle mani dei cosiddetti investitori internazionali, ovvero degli avvoltoi che s’impadroniranno di un Paese a prezzi fallimentari.

Perché, piaccia o no, di fallimento si parla. Perché, piaccio o no, il terzo programma di salvataggio della Grecia finirà come gli altri, anzi, peggio, finendo di distruggere una Nazione stremata, schiacciata da un debito insostenibile.

La Germania lo sa bene, ma colpendo Atene ha riaffermato la sua visione politica (ed economica, questo le importa) su tutti gli altri: che alla fine ci sia una Grexit di un Paese ridotto alla rovina ed espropriato di tutte le infrastrutture le sta bene. A Berlino non importa nulla della Ue come progetto: è solo uno strumento da usare per mantenere una svalutazione competitiva delle sue esportazioni, scaricando le tensioni economiche e finanziarie che genera sugli altri Paesi dell’Eurozona. Secondo la visione cinica di Schauble & C., basta legare alle proprie regole un pugno di Stati, terrorizzandoli col trattamento cui è stata sottoposta Atene.

Nel frattempo, per mantenere la finzione del salvataggio, le Bce ha elevato d’un soffio la liquidità d’emergenza alle banche greche che continuano a rimanere chiuse, paralizzando di fatto l’economia. La Ue, dal canto suo, ha dato il via libera a un prestito ponte da sette Mld di €, per fare fronte alle rate di debito più immediate o già scadute, in attese che si definiscano le procedure per il pacchetto completo da circa 85 Mld, nella gran parte erogati dal Fondo salva Stati–Esm.

Un altro fiume di denaro che si risolve in una partita di giro: debiti per pagare debiti; per investimenti capaci di rivitalizzare un’economia allo sbando assai poco. In fondo è logico: per cannibalizzare un Paese occorre che sia rovinato. È questo lo scenario che s’appresta a gestire il nuovo Governo che Tsipras continuerà a presiedere dopo l’imminente rimpasto.

La breve stagione dell’illusione è finita, dopo che i falsi rivoluzionari hanno mostrato il loro vero volto; sono tornati i tempi dei diktat e dei protettorati retti dai collaborazionisti di turno.

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